“Prigionieri”- Un libro di Fabio Montella

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copertina Prigionieri Fabio Montella

Anche la provincia di Modena ne è triste protagonista in questa ricerca.

Prigionieri

I militari italiani nei campi di concentramento della Grande Guerra:

la detenzione, il ritorno, l’internamento in patria, l’oblio.

Almeno 800 ex prigionieri italiani della Grande Guerra morirono in patria, dopo l’armistizio, a causa dell’impreparazione con la quale fu affrontato il problema del loro rientro e dei pregiudizi che nei loro confronti avevano le autorità politiche e militari del Regno. È questo uno degli aspetti più sconcertanti della vicenda raccontata nel volume Prigionieri, pubblicato da Itinera Progetti, dinamica casa editrice di Bassano del Grappa fondata nel 2000 e specializzata in studi sulla Prima Guerra Mondiale.

Autore del volume è Fabio Montella, ricercatore indipendente e giornalista professionista, che ha all’attivo numerosi saggi e volumi sulla storia politica e sociale del Novecento. Al termine di un lavoro di ricerca durato alcuni anni, Montella ha raccontato, per la prima volta in modo complessivo e dettagliato, la vicenda degli ex prigionieri italiani, le sofferenze patite nei campi austro-ungarici e germanici, il loro rientro in patria e il successivo internamento, fino all’oblio nella memoria collettiva del nostro Paese. 

Trascurata dalla storiografia per una serie di motivi ben messi in luce da Montella, la vicenda della prigionia ha riguardato in realtà un numero enorme di soldati italiani – circa 600 mila – metà dei quali catturati nella sola ritirata di Caporetto. Nei campi di concentramento d’oltralpe morirono circa 100 mila militari del Regio Esercito, quasi il 17 per cento del totale; una percentuale sensibilmente più alta di quella degli eserciti alleati. Il motivo è da ricercare non in una particolare crudeltà del nemico (come qualcuno, all’epoca, si affrettò ad insinuare), ma soprattutto nella linea di non intervento statale rispetto all’organizzazione e all’invio degli aiuti alimentari ai prigionieri, decisa da Governo e Comando Supremo; una scelta che scaricava tutto il peso degli aiuti sulle spalle dei familiari e della Croce Rossa.

Tra le fila della classe dirigente nazionale era infatti ben radicata la convinzione che la gran parte di coloro che erano stati catturati fossero dei traditori, dei vili che si erano consegnati al nemico pur di sottrarsi ai pericoli della prima linea. Negare gli aiuti significava dunque far vivere i connazionali in condizioni precarie (condizioni che vennero ampiamente pubblicizzate al fronte), perché la resa – come disse Cadorna – doveva suscitare «orrore» in chi ancora combatteva. 

Dopo la conclusione dell’armistizio, firmato a Villa Giusti, nuovi centri di raccolta vennero frettolosamente allestiti in tutta Italia, per raccogliere i soldati usciti dai campi di concentramento degli Imperi Centrali. Gli ex prigionieri italiani furono costretti a una nuova forma di detenzione – considerata, da alcuni, ancora più odiosa di quella patita presso i nemici – e subirono interrogatori che dovevano accertare le cause della loro resa (e i relativi eventuali reati). Nelle autorità italiane vi era anche la preoccupazione di una rieducazione “morale” di questi soldati, che nei campi di prigionia potevano essere stati “contagiati” da idee “bolsceviche”, ritenute altamente pericolose dopo la rivoluzione avvenuta nel 1917 in Russia. 

Raccolti in campi dalle dotazioni assai precarie, nel freddo inverno del 1918, centinaia di ex prigionieri morirono, falcidiati dall’influenza spagnola che in quel periodo imperversava nel nostro Paese. 

Montella conclude il suo lavoro ripercorrendo il dibattito parlamentare e sui giornali intorno al rientro degli ex prigionieri e gettando uno sguardo anche alla questione delle salme dei soldati morti in cattività. In alcuni casi persino il rientro dei corpi sarebbe stato oggetto di orrende speculazioni, con alcuni «mercanti di morte» che avrebbero approfittato del grande business delle traslazioni di Stato. Insomma, una serie di vicende complesse e intrecciate, con i prigionieri che finirono in un lungo «cono d’ombra» storiografico, dimenticati anche dal nascente fascismo, che preferì esaltare altre figure – come il caduto, il mutilato, l’ardito – certamente più congeniali alla propria retorica guerresca. 

Montella ha svolto il suo lavoro di ricerca su documenti, in gran parte inediti, reperiti a Roma, nell’Archivio dell’Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito e all’Archivio Centrale di Stato, a ma anche in diversi archivi locali. Ne emerge il quadro vivido, puntuale e lineare di una vicenda che è rimasta a lungo dimenticata. 

Il libro sarà disponibile da fine febbraio 2020, al prezzo di copertina di Euro 21,00, nelle principali librerie d’Italia e negli store on-line.

Biografia autore

Fabio Montella è giornalista professionista e ricercatore indipendente. Specialista in storia del Novecento, collabora con l’Istituto Storico di Modena e con altre istituzioni e centri di ricerca italiani. È responsabile per la provincia di Modena dell’associazione Clionet, network fra ricercatori, docenti e liberi professionisti impegnati in attività di studio e di insegnamento nell’ambito delle discipline storiche. 

Tra le sue pubblicazioni più recenti si segnalano i volumi Se avessi qui Mussolini… (Poggio Rusco, MnM Print Edizioni, 2018), Dal garage al distretto (Bologna, Il Mulino, 2017, con Franco Mosconi) e Superare Caporetto. L’esercito e gli italiani nella svolta del 1917 (Milano, Unicopli, 2017, con Luca Gorgolini e Alberto Preti). Ha inoltre pubblicato saggi sulla Grande Guerra nel volume curato da Nicola Labanca, Guerra e disabilità (Milano, Unicopli, 2016) e nel volume curato da Fulvio Cammarano Abbasso la Guerra! Neutralisti in piazza alla vigilia della Prima guerra mondiale in Italia (Firenze, Le Monnier, 2015). È direttore responsabile della rivista “Clionet. Per un senso del tempo e dei luoghi”.

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