Personaggi mirandolesi – Francesco Montanari

Commenti disabilitati su Personaggi mirandolesi – Francesco Montanari Memorie storiche della città di Mirandola

Nato nel 1822 a Mirandola morto il 6 giugno 1860 a Vita di Calatafimi.

A 16 anni fu accolto nella Scuola Ducale a Modena dei cavalieri pionieri militari, da cui uscirono tanti giovani che esuli onorarono le armi italiane al servizio di bandiere straniere, ma poi anche dell’italiana quando l’Italia si destò.

Da quella scuola uscì laureato in ingegneria e matematica, ma non per ser­vire il Duca di Modena.

Egli rinunciò alla carriera militare e si diede alla professione libera.

Nel 1848 fu volontario nell’esercito piemontese e fece tutta la campagna; combattè a Governolo, a Custoza, raggiungendo per i suoi studi il grado di ca­pitano, e corse in Sicilia ad aiutare la rivoluzione contro i Borboni.

Passò poi a Roma agli ordini di Garibaldi. La sua anima turbolenta e fiera subì il fascino dell’Eroe dei due mondi del quale divenne devoto.

Alla difesa dell’Urbe egli curò le opere fortificatorie, ma dove si com­batteva non mancò mai.

Caduta la Repubblica romana, il Montanari seguì il Duce nella sua riti­rata fino a S. Marino, dove si separò da lui con la certezza della futura riscossa.

Da Cesenatico s’imbarcò per l’Ungheria, ma catturato il legno che lo por­tava, fu condotto prigioniero dell’Austria a Venezia poi a Capodistria.

Ricondotto ai confini estensi, tornava a Modena dedicandosi ai suoi studi di ingegneria militare : ideava ponti con sommo risparmio di travi maestre, da gettare anche sopra acque rapidissime, lavori che riscossero l’approvazione del più competente ingegnere modenese del tempo :  il Costa.

Per i suoi lavori ebbe occasione di recarsi spesso a Mantova, ed ivi, mes­sosi in relazione coi membri del Comitato segreto mantovano, da essi ebbe l’in­carico di rilevare la topografia delle fortezze di Mantova e Verona per poter ser­virsene in un progettato colpo di mano.

Era il 1851. Egli s’accordò col Conte Carlo Montanari di Verona, rilevò la si­tuazione di parecchie località fortificate della città e fu a Mantova nel forte di Pietole dove penetrò vestito da mugnaio.

Accusato dal Castellazzi con cui sostenne un confronto, venne arrestato il 7 luglio 1852 : dopo sei mesi di prigionia nelle segrete di Mantova vedendo inu­tile ogni negativa, confessò quanto attribuitogli come si addice ad un uomo che va altiero per quel che ha fatto e giammai si pente del suo operato.

Rispondendo all’inquisitore perchè egli suddito del Duca di Modena aves­se cospirato contro l’Austria, dichiarò che ottenuta l’emancipazione del Lom­bardo – Veneto, ne sarebbe conseguita la caduta del Ducato di Modena.

Di fronte a questa dichiarazione l’Austria consegnò il Montanari al Duca Francesco V.

Il Montanari fu condannato a 12 anni di carcere e il 15 ottobre 1853 fu tradotto nel forte di Rubiera dove doveva scontare la sua pena e dove ri­mase circa due anni.

Il 22 settembre 1855 imperversando il colera venne ricondotto per ordi­ne del Duca all’ergastolo di Modena.

La madre del Montanari, all’insaputa del figlio, chiese grazia al Duca e questi dichiarò che l’avrebbe messo in libertà e gli avrebbe data la cattedra di calcolo differenziale ed integrale all’Università se la madre fosse riuscita ad in­durre il figlio a fare atto di sottomissione al Sovrano.

La madre, conoscendo il carattere del figlio, non gli riferì nemmeno la proposta ducale.

Verso la fine del 1855, per intercessione della signora Maria Malmusi, il duca commutò il carcere in esilio perpetuo e il Montanari liberato fu condotto al confine parmense.

Da Parma il Montanari passò in Piemonte, poi si rifugiò in Svizzera vi­vendo del suo lavoro insegnando matematica, cospirando con Mazzini negli anni dal 1855 al 1859.

Ma suonata la diana di guerra eccolo di ritorno in Piemonte dove si ar­ruolano i Cacciatori delle Alpi, in attesa di Garibaldi.

Egli passava in quella divisione toscana, che agli ordini del biondo Gene­rale doveva operare nell’Italia centrale e fu fermata alla Cattolica.

Venuta la primavera del 1860 il Montanari è a Quarto fra i Mille, terzo aiutante di campo con Tùrr e Tukòry, di Garibaldi.

Tornava così la seconda volta ad offrire il suo braccio, e questa volta la vita, alla Sicilia.

E della sua confidenza amichevole con Garibaldi ci dà notizia con una delle significative pennellate l’Abba, allora nuovo alle adunate garibaldine.

A Talamone vede il Duce col Montanari : « lieto e sorridente se ne ve­niva Garibaldi su per la salita, vestito da Generale dell’esercito piemontese. I lun­ghi capelli e la barba intera combinavano male con quei panni. Il Capitano Montanari gli veniva a fianco celiando e gli diceva : così vestito mi sembrate un leone in gabbia. Il Generale sorrideva ».

Quando i Mille marciavano verso Calatafimi, seppe dal Bandi che Gari­baldi aveva fatto preparare tre decreti col motto : « Italia e Vittorio Emanuele ».

Il Montanari insorse: «son fuggito in Svizzera, son fuggito in Francia, Spagna e Belgio e fino tra i Greci per non sentir rammentare la casa di Savoia, ed ecco che qui in Sicilia mi tocca sentirla dalla bocca di Garibaldi. Dianzi sono caduto da cavallo, adesso sento rammentare Vittorio Emanuele, ma manca la terza disgrazia e scommetto che verrà. Oggi la prima palla è mia ».

Due ore dopo sul colle di Calatafimi, fu dei primi a cadere.

Una palla dei borbonici di quelle « ogivali-cave » che squarciano orribil­mente, gli ruppe il ginocchio destro e il femore.

Fu raccolto dopo la battaglia e trasportato in una capanna ove rimase me­dicato sommariamente il giorno e la notte successiva e l’indomani futrasportato al paese di Vita dove i medici della spedizione cercarono di salvarlo, aiutati dal Dr. Lampiasi di Salemi che aveva seguito la colonna garibaldina.

Sopravvenne la cancrena e si tentò l’amputazione della gamba per fermarla, ma inutilmente; il Montanari leggendo la Divina Commedia, che aveva sempre con sè, morì il 6 giugno da forte, com’era sempre stato in vita.

Nel cimitero di Salemi fu data pace alle sue spoglie e la nativa Mirandola nel 1906 dedicò alla memoria di questo grande patriota un modesto monumento.

Tratto da “I cento anni della Cassa di risparmio di Mirandola”

Le foto ed il documento sono gentilmente concessi da Claudio Sgarbanti della “Collezione Picus degli Sgarbanti”

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