Mirandola – Una fortezza nel paesaggio padano

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MIRANDOLA: UNA FORTEZZA NEL PAESAGGIO PADANO

Ubicata in un paesaggio di vasti orizzonti e di ampie distese vallive, nell’estrema fascia della bassa pianura modenese, verso il limite boscoso del Po che, pur intuendone la presenza lo si scopre solo all’improvviso, Miran­dola deve la notorietà al ricordo del suo passato di fortezza e alla plurise­colare signoria della famiglia Pico, quest’ultima comunemente identificata nella fama, circoscritta da alone di mito popolare, dell’umanista Giovanni Pico.

Lo sviluppo della città è da riconoscersi nella sua felice posizione, sull’itinere di una strada di grande comunicazione, che fin dall’epoca romana portava direttamente da Modena verso la Valle dell’Adige, e nella situazio­ne geografica del territorio, limite tra zone differenziate: emiliane, mantova­ne, venete.

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La sua origine va ricercata qualche chilometro più a nord, a Quarantoli, un centro antichissimo di rilevante importanza civile e religiosa, sede di una «corte» nominata già nel X secolo, dove ora sussiste, pur alterata da pesanti moderni restauri ricostruttivi, l’antica Pieve di S. Maria della Neve, co­struita sul bordo delle valli nel «dosso di Gavello», un residuo fossile di conoidi alluvionali formato dalle acque del Secchia nel loro antico e naturale espandersi verso levante.

Quarantoli fu la sede originaria di quella forte consorteria familiare, for­se di origine longobarda, detta dei «Figli di Manfredo» che ne fece il cen­tro politico, amministrativo e religioso di tutta la zona. Appoggiati da Ma­tilde di Canossa, i «Figli di Manfredo» ebbero donazioni ed investiture dall’Impero, fino a che si addivenne nel 1212 ad una divisione in più gruppi familiari che assunsero varie denominazioni: Pio, Papazzoni, Pedoca, Padel­la, Pico. Questi ultimi, chiamati nei documenti trecenteschi anche «de la Mirandola», avevano la loro abituale dimora in questa località, ormai forte castello circondato da borghi, mentre a Quarantoli era rimasta l’antica pre­rogativa religiosa di Pieve perché conservava l’unico fonte battesimale del territorio.

Il nucleo antico di Mirandola, ricordato nel secolo XI (1050), compren­deva il castello vero e proprio, residenza dei Signori, costruito su di un rialzo naturale del terreno circondato da forti difese e delimitato da una larga fossa. All’esterno si trovavano i borghi, protetti ognuno da singole fortificazioni, sorti in epoche diverse in modo spontaneo lungo le vie di accesso alla cittadella o intorno ad edifici di culto preesistenti.

Il medesimo evolversi della tipologia urbana si riscontra in altri luoghi della pianura padana che furono sede di autonome Signorie, come a Carpi.

A settentrione, nei pressi della chiesa di S. Giustina, era il Borgo di Sotto o Borgo Franco, a sud-est il Borgo di Sopra o di S. Francesco, così chiamato per la presenza della chiesa omonima. Si aggiunsero poi il Borgo Brusato a levante che ricordava nel nome le distruzioni provocate dalla oc­cupazione nel 1321 di Passerino Bonaccolsi e a mezzogiorno il più recente e regolare Borgo Novo.

Con il consolidarsi della famiglia Pico e la regolare successione al pote­re, si dimostrò da parte dei suoi componenti una maggiore attenzione all’organizzazione dello Stato e alla stessa struttura urbana della città che venne ad assumere una forma ben definita.

L’intervento dovuto al principe umanista Giovan Francesco I (1415- 1467 ca.), oltre ad accrescere il prestigio della propria residenza mediante abbellimenti che in parte cancellarono l’aspetto medioevale del vecchio castello, rispondenti al proprio interesse di raffinato studioso (significativa è la committenza al ferrarese Cosmé Tura della decorazione della Biblioteca con la raffigurazione delle Muse, di Poeti e di Sibille), agisce in modo determi­nante sul corpo stesso della futura città trasformandola con una concezione di spazi rispondenti ad una realtà ormai di respiro rinascimentale.

La demolizione delle fortificazioni interne e lo spianamento delle fosse che separavano i borghi contribuirono a dare forma alla città e a delimitare gli spazi pubblici che mantennero, come nel Borgo di Sopra e l’adiacente Brusato, un andamento sinuoso delle strade tipico delle spontanee aggregazioni urbanistiche medievali, mentre il Borgo Novo si adeguava ad un im­pianto regolare con assi viari rettilinei e a struttura ortogonale imperniati nella direttiva nord-sud della strada Grande.

Nel Borgo Novo, oltre alle abitazioni signorili provviste per lo più di portici, si trovavano alcuni edifici rappresentativi delle principali funzioni sociali e religiose della città quattrocentesca: l’Ospedale di Santa Maria Bianca già esistente nel 1432, il nuovo convento delle Clarisse dedicato a S. Ludovico voluto nel 1460 dallo stesso Giovan Francesco Pico, la chiesa Collegiata di S. Maria Maggiore iniziata nel 1440, costruita in un superato stile goticizzante e nuova sede del fonte battesimale in sostituzione, come chiesa matrice, dell’ormai scomoda e lontana Pieve di Quarantoli.

Altra chiesa ricostruita in questo periodo è quella di origine duecentesca di S. Francesco, rifatta in linee gotiche di tradizione padana e lombarda. Essa raccoglie le grandi arche marmoree a cassone pensile di molti perso­naggi di casa Pico: quella di Prendiparte (+ 1394), opera pregevole di Paolo di Jacomello delle Masegne, di Spinetta (+ 1399 ca.), eseguita dalla bottega dei Delle Masegne, entrambe in un fiorito stile gotico veneziano e le successive, decisamente rinascimentali, di Giovan Francesco I e di Ga­leotto I (+ 1499).

Con funzione di cesura tra il Borgo Novo e l’ampio vuoto del piazzale della cittadella è costruito nel 1468 il Palazzo del Comune, caratterizzata da una facciata di eleganti forme rinascimentali resa leggera da un portico di sei arcate sorrette da snelle colonne di marmo.

Evidente è il valore prospettico di questa soluzione a chiusura del lato breve a sud della piazza, in quanto il palazzo porticato costituisce l’unica veduta a cannocchiale che si coglieva entrando dalla porta della città e definiva la piazza stessa, chiusa sugli altri due lati da edifici pure porticati: alla destra l’antico e gotico Palazzo della Ragione, a sinistra il Palazzo Bergomi dall’austera facciata in cotto arricchita da grandi finestre bifore di chiara derivazione ferrarese e rossettiana. Tranne che in questa angolazione la piazza perde ogni configurazione chiusa, stendendosi in uno spazio enorme, urbanisticamente non definito per il vuoto creato a sinistra dalle fosse e dalle muraglie della cittadella e a destra appena marcato dalla successione di modeste case porticate, non uniformi per piani e volumi. Nell’altra estre­mità, a nord, la non definizione dello spazio era ancora più evidente, in quanto lo slargo era concluso dalla bassa cortina dei terrapieni delle mura che avevano come sfondo l’orizzonte della campagna valliva e dove si apri­va l’unica porta urbana affiancata in epoca successiva dalla chiesetta a cu­pola della Madonna della Porta.

Giovan Francesco Pico si occupò nel 1460 delle fortificazioni della cit­tadella estendendole a protezione anche dei borghi, dando così a Mirandola una pianta pressoché quadrangolare. Le difese furono completamente potenziate dal figlio Galeotto I nel 1499 mediante l’erezione di torri chiamate di S. Giorgio, di S. Martino, di S. Ludovico, della Maddalena.

Dopo di lui, Giovan Francesco II eresse, tra il 1499 e il 1500, il più importante fulcro di difesa della rocca e dell’intera città, un enorme e poderoso Torrione che diede fama alla fortezza di Mirandola ma che fu dopo due secoli la causa, se non unica, predominante, della rovina della città. Costruita con una concezione difensiva ancora medioevale, la grande torre, alta 48 metri, imponente per severità di strutture, divisa a metà da caditoie, recava sulla terrazza merlata le bocche delle bombarde il cui tiro spaziava sull’aperta campagna.

La delicata posizione geografica e strategica di Mirandola, le sue possenti difese, il gioco delle alleanze politiche dei Pico, coinvolsero la città nelle guerre italiane all’inizio del XVI secolo.

Notissimo è l’assedio e l’espugnazione della fortezza da parte di papa Giulio II nell’inverno del 1511 durante la campagna di guerra contro Al­fonso d’Este di Ferrara alleato dei francesi. Le conseguenze di questo asse­dio furono gravi: tutto il Borgo Franco o di Sotto venne demolito con l’in­tento di creare il guasto e togliere ogni possibilità di ripari agli assediati. Giovan Francesco II, ristabilito al governo, dopo le vicende della guerra e le contese con i parenti fortificò con bastioni i rivellini della porta di acces­so alla città e, allargando la fossa del castello, ricavò un’isola trasformando­la in una delizia con ameni giardini «ch’egli ornò di frutta e di piante d’ogni maniera» (Albert) e che da perfetto umanista descrisse in una elegia.

L’esperienza dell’assedio di papa Giulio II provocò nel successore Ga­leotto II Pico la necessità di aggiornare le fortificazioni secondo le nuove concezioni della scienza militare, non essendo più sufficienti le mura quadrangolari di Mirandola a contenere i danni delle moderne artiglierie. Dal 1541 al 1544, in un periodo relativamente breve per una tale mole di lavo­ri, costruì i bastioni angolari chiamati di Castello, di S. Francesco, di S. Giorgio e di S. Martino che, pur aggiornandola, non modificarono la pian­ta della città.

Queste opere si dimostrarono efficaci nel nuovo assedio avvenuto nel 1552 condotto dalle truppe spagnole e da papa Giulio III contro la guarni­gione francese di Mirandola.

Si accelerò allora il rinnovamento delle mura con un grande sforzo per l’economia locale e patrimoniale dei Pico. La cinta, da quadrangolare, con bastioni agli angoli, fu trasformata a pianta stellare con otto bastioni. Nel 1566 erano già eretti e perfezionati i baluardi di Castello, di S. Francesco, della Giazzara e di S. Giorgio. In progresso di tempo, nel 1576, Fulvia di Correggio vedova di Ludovico II e il figlio Galeotto III, sopprimendo l’iso­la giardino a fianco della cittadella, eressero il baluardo di S. Agostino e rifecero quello di Castello.

La città venne così ad assumere una forma ben definita ed ebbe pure un notevole ingrandimento urbano nella zona di levante, dove fu tracciata una strada ampia e rettilinea, la via di Terranova con direttrice da sud a nord.

Le fortificazioni a pianta stellare, tipiche delle piazzeforti della matura epoca cinquecentesca, dando fama di fortezza imprendibile a Mirandola, contribuirono a renderne noto l’aspetto attraverso la divulgazione di incisio­ni particolarmente diffuse tra la fine del XVII secolo e il XVIII.

L abbellimento urbano della capitale del piccolo principato dei Pico continuò, anzi si sviluppò con notevoli soluzioni architettoniche e con apporti di grande valore ambientale e monumentale.

Federico II nel 1597 eresse due archi trionfali che concludevano in modo scenografico e con funzioni prospettica le due strade principali: la via Grande e la via di Terranova, altrimenti terminanti con il terrapieno delle mura.

Numerose chiese di confraternite e di ordini monastici esistenti in città presentavano le facciate disposte a chiusura di strade e piazzette e contribuivano con la loro voluta presenza a creare, in pieno periodo barocco, al tempo dei duchi Alessandro I (1566-1637) e Alessandro II (1613-1691), un arricchimento della veduta urbana particolarmente significativo.

E’ doveroso ricordare tra gli edifici di culto dell’epoca barocca la chiesa del Gesù, fortunamente ancora superstite. La sua esuberante decorazione interna in stucco, opera di Pompeo Solari, celebra nelle allegorie i fasti ducali e si arricchisce, oltre che di opere pittoriche, di sontuosi altari lignei, lavori di un non più ripetuto artigiano locale.

Particolare attenzione in epoca barocca fu rivolta alla trasformazione in reggia principesca dei palazzi della cittadella, operazione da intendersi come una visiva e concreta espressione di potenza e di prestigio da parte del­la famiglia ducale.

La decadenza iniziò nel XVIII secolo durante le guerre di successione al trono di Spagna. La politica filo-francese del duca Francesco Maria gli determinò, in quanto feudatario imperiale, la spogliazione dello Stato dopo che la città ebbe a subire rovinosi assedi e bombardamenti. In seguito (1711), il territorio mirandolese venne ceduto per una somma altissima, dal fisco imperiale, al duca di Modena Rinaldo d’Este.

Le conseguenze di queste vicende non tardarono a farsi pesantemente sentire sull’economia locale già provata dalle sofferenze e dai disagi delle passate guerre e dalle devastazioni che gli assedi avevano provocato nelle campagne oltre che al fatto di essersi spezzato il legame che univa tante attività, prevalentemente artigianali e commerciali, con la presenza della corte dei Pico.

Un fatto accidentale provocò un danno ingente al patrimonio edilizio e monumentale. Durante un temporale, la notte del 14 giugno 1714, un fulmine provocò lo scoppio delle polveri conservate nel grande Torrione del castello, distruggendolo insieme a gran parte dei fabbricati dell’ex reggia ducale. Lo spostamento d’aria, secondo le descrizioni e le testimonianze dei contemporanei, fu terribile e danneggiò la città.

Alle demolizioni eseguite dall’amministrazione camerale di Modena, fat­te con una fretta e uno zelo giustificabile soltanto con la volontà di cancel­lare ogni traccia della passata grandezza, del ricordo dei Pico e dell’antica autonomia locale, fecero seguito vandaliche spogliazioni come quella del 1716 da parte del Governo Imperiale di Vienna che predispose il trasferimento di ogni cosa mobile e della quadreria dei Pico nel Palazzo Ducale di Mantova.

Alla distruzione del complesso monumentale del castello che fu praticamente quasi completa, seguì, nella seconda metà del Settecento, come con­seguenza dei provvedimenti di riforma dovuti alla politica illuministica dei duchi di Modena Francesco III e Ercole III d’Este, quella di molte chiese e conventi che caratterizzavano con la loro presenza l’aspetto urbanistico della città, con la conseguente dispersione della straordinaria stratificazione di opere artistiche in esse contenute. La spogliazione continuò alacremente durante il periodo della Repubblica Cisalpina e del Regno Italico.

La cinta bastionata, ormai inutile e cadente in più parti per la mancata manutenzione, venne demolita con la conseguente colmatura delle fosse alla fine dell Ottocento, tra il 1878 e il 1896, togliendo e privando alla città quel carattere chiuso e militare che l’aveva giustamente resa celebre e di conseguenza annullando il diaframma che si era venuto a creare nel tempo tra una concezione urbana ben salda e definita e lo spazio immediato della campagna circostante, non risolto certamente con il tracciato dei viali di circondario che presero il posto delle mura.

Ulteriori demolizioni e trasformazioni di edifici all’interno del nucleo storico contribuirono a cancellare quanto era rimasto, dopo le traversie del XVIII secolo e di parte del XIX, del dignitoso aspetto di piccola capitale.

Il ruolo di Mirandola, dopo l’unità nazionale, è quello ormai di una cit­tà di provincia legata al proprio territorio da una economia essenzialmente agricola. Gli interventi di bonifica dopo le disastrose rotte del Po, specialmente quella del 1879, contribuirono a potenziare questa vocazione che so­lo in epoca recente sta mutando verso scelte terziarie e industriali.

Nel XIX secolo l’edilizia privata ha avuto un ruolo determinante a ricu­cire, con interventi di tipologia neoclassica e di decoro borghese, il volto ormai compromesso della città. Le opere di interesse pubblico si sono ri­solte nella costruzione di strutture collettive mancanti ed in parti tendenti a restituire un ruolo di identità a Mirandola come centro territoriale. Si pos­sono segnalare il viale di accesso alla stazione ferroviaria (1883), il nuovo grande Ospedale, le scuole costruite oltre la linea di demarcazione delle an­tiche mura, il Teatro Nuovo (1905): quest’ultimo faticosamente cercò di colmare sulla piazza il grande vuoto dovuto alle demolizioni della cittadella ducale.

Restauri ai pochi edifici monumentali superstiti, come le chiese di S. Francesco e della Collegiata, riuscirono soltanto a congelare forme quattrocentesche d’invenzione e distrussero ulteriormente le poche testimonianze d’arte che erano rimaste all’interno, in nome di un purismo che ha avuto aspetti di accademia. Rifacimenti stilistici avvilirono con la loro ingombran­te presenza il centro urbano, come la caserma ex Mussolini sulla piazza del Duomo in sostituzione del complesso del vecchio ospedale e della chiesa di S. Maria Bianca (1930) e il neogotico Torrione merlato in aderenza a ciò che restava del castello ducale.

L’aspetto attuale di Mirandola, con i suoi contrastanti edifici accentuati da una modernizzazione casuale e spiccia, rende difficile la lettura della storia edilizia della città che si può ancora riscontrare in pianta e nelle superstiti emergenze monumentali e storiche.*

Alfonso Garuti

[*] La scheda, che ha valore di sintesi per una lettura del centro storico di Mirandola, at­traverso le trasformazioni subite nel tempo, da castello, città rinascimentale e fortezza, era sta­ta scritta per la mostra «Paesaggio, immagine e realtà», sezione «Il Paesaggio della Pianura Padana», organizzata nel 1981 dalla Galleria di Arte Moderna di Bologna. Per ragioni orga­nizzative Mirandola non figurò alla mostra, ma soltanto il saggio su Finale Emilia, anch’esso steso da chi scrive. Il testo è riproposto in questa occasione, precisando che la bibliografia è soltanto indicativa e aggiornata al 1981 e che si è debitori nella stesura allo studio di V. Cap­pi, La Mirandola, storia urbanistica di una città, Mirandola 1973.

Tratto da: La Bassa Modenese – Storia, tradizione, ambiente

Quaderno n. 4

Anno 1983

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