Mirandola – Rinviato l’evento jazz dedicato a Rudy Trevisi – Un ricordo dell’artista di Alessandro Vaccari

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RINVIATO

Rudy nel 1967 con la divisa del complesso mirandolese "I Volti"

I Volti - 1967 _0002

Purtroppo causa Covid 19 il concerto di Musica Jazz (Mirandola Jazz Festival), dedicato al mirandolese e amico Rudy Trevisi , è stato rinviato a data da destinarsi.

Ne approfittiamo per  pubblicarne un ricordo scritto da un’altro musicista, anche lui mirandolese ed, anche lui, amante del jazz, Alessandro Vaccari.

“Ho conosciuto Rudy attorno ai miei diciannove anni, una sera di primavera inoltrata, a casa di Marco Pellacani, il trombonista.

La fama lo precedeva e io non sapevo esattamente come comportarmi. Da tutto quello che mi avevano raccontato di lui fino a quel momento mi aspettavo di trovarmi in presenza di un musicista mitologico, una vera e propria autorità della musica. Non posso inoltre escludere il commento di mia madre, che lo conosceva da ragazza: “Ah, com’era bello Rudy da giovane”. Un valore aggiunto.

Entrato in casa di Marco, che già conoscevo da tempo (perché fu lui ad avviarmi ai primi contatti nel mondo del jazz e alle prime jam session. E di questo gliene sarò sempre grato) buttai l’occhio nell’ambiente, ma non vidi nessuno. Due parole con il padrone di casa e poi questo: “A gh’è Rudy in balcon (c’è Rudy in balcone)”. Andammo in balcone ed eccolo finalmente. Accovacciato su uno sgabello, mentre fumava una sigaretta. C’era anche mio padre, che lo conosceva bene, fin da ragazzo. “Alora Rudy?” “Eh Sienes, cum staat (come stai)? “Questo è mio figlio”. Toccava a me. Un po’ in imbarazzo gli allungai la mano: “Piacere, Alessandro”. “Piacere, Rudy”. Ecco. Due parole, niente convenevoli. Riprese a fumare. Tra loro, amici di lunghissima data, vi fu uno scambio di parole sulla situazione, cosa avessero fatto negli ultimi tempi, specie tra Rudy e mio padre che non si vedevano da anni. Io rimasi in disparte per un bel po’, anche se l’istinto sarebbe stato quello di tartassarlo di domande, parlare di musica, di saxofono, di jazz. Aspettai il momento giusto. Infatti ad un certo momento, dopo un po’ di tempo, lui si girò verso di me e chiese: “Allora? Come va con la musica?”. Io ho cominciato a studiare seriamente musica relativamente tardi, dopo il liceo, quindi all’epoca avevo appena cominciato il conservatorio. Sapevo di avere di fronte qualcuno che alla mia stessa età aveva già fatto grandi cose. Cosa potevo rispondergli? “Aehm… bene” Fu quello che mi uscì. “Si studia tutta la vita e non sei mai soddisfatto. La musica… la musica è dura” fu la sua prosecuzione. Poi lo scambio si interruppe per parlare d’altro. E così per un’altra buona parte della serata. Di tanto in tanto tra lui e Marco uscivano vecchi ricordi legati alla musica, considerazioni generali su quanto poco il mestiere del musicista fosse considerato oggigiorno. Tutte le volte Rudy appariva costernato da questa situazione e lasciava intendere che l’unica dimensione possibile fosse farsi gli affari propri, ossia starsene a casa e usare il computer per comporre. Infatti negli ultimi anni Rudy aveva messo un po’ da parte la pratica strumentale e traeva maggior godimento dallo scrivere musica. Musica che il più delle volte non diffondeva o faceva eseguire, ma restava nel cassetto. Che peccato! Solo alla fine della serata ebbi un altro scambio diretto. “In conservatorio saxofono si fa col contralto, no?” mi chiese. “Sì, soprattutto”. “Tu che contralto hai?” “Io ho un Selmer”. “Ah, non mi sono mai piaciuti i Selmer. Hanno un suono sottile, pio pio… a me piace il King, quello sì che ha una bella voce. Magari però nella classica va bene il Selmer…”. Negli anni ho poi potuto constatare che la sua opinione fosse piuttosto vera. Spesso una delle ossessioni dei contraltisti è avere un timbro ampio, scuro… cosa che costringe lo strumentista ad una continua ricerca di strumenti, ance, imboccature. Poi l’intuizione. Me ne uscii con questa cosa: “Paul Desmond ha un suono chiaro, ma a me piace molto. Quando suona duddu dudda duddu dudda da…”. “Cos’è duddu dudda du? Il jazz non si canta mica così” mi freddò. In un attimo realizzai la mia inesperienza e al contrario la sua sensibilità al suono, alla musica. Caro Rudy! Al nostro primo incontro non parlammo molto, ma riuscisti comunque a farmi intendere una lezione importante. E da quella volta in poi sono sempre stato molto attento a canticchiare una frase con la pronuncia giusta!”

Alessandro Vaccari

Alessandro Vaccari nasce a Mirandola nel 1979. Frequenta il liceo classico “G. Pico” di Mirandola, conseguendo la maturità classica nel 1998. Nell’autunno del medesimo anno intraprende gli studi di saxofono classico presso il conservatorio “A. Boito” di Parma, sotto la guida del M° Massimo Ferraguti e terminandoli  nel 2003. Nel 2006 consegue il diploma accademico di II livello presso il medesimo istituto. Scostandosi dall’ambito della musica classica, entro la quale svolge inizialmente attività concertistica prevalentemente in ensemble di quartetto o formazione allargata di saxofoni, si dedica esclusivamente al jazz, Collabora nel corso degli anni con numerosi artisti tra cui: Gianni Cazzola, Ellade Bandini, Marco Tamburini, Davide Brillante, Andrea Papini, Giancarlo Schiaffini, Flavio Boltro, Paolo Fresu, Sandro Gibellini, Union Big Band… Tra il 2007 ed il 2010 ha ricoperto il ruolo di insegnante di sostegno presso alcune scuole della provincia di Modena.

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