Vanni Chierici – Messer Giuseppe Scarabelli

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2 - Via Montanari ai primi del '900 altro esempio dell'acciottolato

Messer Giuseppe Scarabelli.

La storia c’insegna che servire lo stato, in modo onesto ovviamente, può essere fonte di orgoglio e soddisfazione personale, per contro difficilmente si accumulano ricchezze ed onori.

Al contrario servendo fedelmente il potente di turno è facile riempirsi le tasche ed essere ossequiati, ma c’è l’altra faccia della medaglia; se dovesse cambiare il boss è altrettanto facile cadere rovinosamente … come ha imparato a proprie spese messer Giuseppe Scarabelli, mirandolano discendente di una illustre famiglia del 1600/1700.

Il 7 febbraio del 1626 nasce alla Mirandola Giuseppe Scarabelli, padre Giulio Cesare e madre Ortensia Palazzi. Ancora giovanissimo dimostra attitudine allo studio che lo porta verso le discipline matematiche ed in particolare verso l’architettura militare. Terminate le scuole regolari, per approfondire ed affinare le proprie conoscenze ed avere più probabilità di essere accolto alla corte del Duca Alessandro II, viene incoraggiato dal padre a viaggiare. Visita così la Repubblica di Venezia, l’Istria, la Dalmazia, il Tirolo e la Croazia. Trascorre poi un po’ di tempo in Austria, in Boemia e dimora per un certo periodo a Parigi. Prima di tornare alla Mirandola non manca di andare ad ammirare le più importanti città d’arte italiane come Napoli, Roma e Firenze. In tutto questo non trascura l’arte letteraria, tanto che scrive di agiografia, drammatica e financo sonetti.

Il suo hobby preferito diviene la geografia che lo porterà a costruire due enormi globi, di tre braccia di diametro, rappresentanti la sfera terrestre e quella celeste. A tal proposito nelle sue memorie il figlio conte Massimo scriverà: “ … né in Milano, né in Venezia, né in Roma non ne ho trovato né di ugual struttura né d’ugual travaglio.”

Al suo ritorno sposa la nobile Califurnia, figlia del capitano Galeazzo Panigadi, della quale non si trovano notizie, se non che gli dà parecchi figli che però, tranne il futuro conte Massimo, non sopravvivono abbastanza a lungo per perpetuare la dinastia.

Il Duca Alessandro II Pico non tarda ad accorgersi delle qualità dello Scarabelli e a provarne grande stima e nel 1656 lo nomina suo Gentiluomo di Camera e gli affida il figlio Galeotto per istruirlo sull’architettura militare. Terminato questo compito altri incarichi di prestigio gli vengono affidati e, nominato capitano del Cannone, il 30 giugno del 1666 viene elevato alla carica di Sopraintendente Maggiore delle ducali fortificazioni.

Alle felici vicende professionali però si accompagna una sciagura familiare; muore l’amatissima moglie e Giuseppe cade in un pericoloso stato di sconforto e depressione, tanto che addirittura pensa di rinunciare ad onori e pubblici incarichi intraprendendo la carriera ecclesiatica. Quando ormai è pronto a ricevere gli ordini dei frati Minori, avvisato dal proprio segretario Girolamo Ardizii da Pesaro, interviene personalmente il Duca che non solo ottiene la rinuncia a tale disegno ed il ritorno ai propri doveri, ma riesce anche a persuaderlo che la miglior medicina è risposarsi. Giuseppe passa così a seconde nozze con la marchesa Anna Teresa Pallavicini da Parma, dama della corte della Duchessa.

Anche questo secondo matrimonio, pur se non benedetto dalla venuta di figli, si dimostra felice per lo Scarabelli. Il periodo di massimo splendore che sta atraversando la Mirandola, con la totale assenza di guerre e distruzioni ad esse legate, non consente allo Scarabelli di distinguersi nelle arti belliche, ma trova comunque il modo di farsi notare ed apprezzare.

Fa livellare ed acciottolare tutte le vie della città eliminando il fastidio della polvere estiva e del fango invernale (ovviamente le dame dell’epoca non portavano il tacco 12), ammodernizza con gli ultimi ritrovati delle scienze e della tecnica le difese della città/fortezza e costruisce l’ottavo bastione delle mura, il Bastione del Bonaga posto al termine dell’odierna via Pico. In occasione poi delle nozze del principe ereditario Francesco Pico con la principessa Anna Camilla Borghese, gli viene affidata l’organizzazione della parte pirotecnica dei festeggiamenti; stupisce e meraviglia tutti collocando cinquanta cannoni sui bastioni delle mura e disponendone le cariche in modo che, fino a tarda notte, trecento colpi, senza interruzioni, salutassero la coppia.

Quando sul finire del 1688 una rivoluzione inglese caccia dal trono britannico la stirpe Stuarda, re Giacomo II ripara in Francia con la consorte Beatrice d’Este ed il figlio Jacopo III. La Duchessa Anna Beatrice d’Este Pico, zia dell’ormai ex regina inglese, preoccupatissima per la sorte della nipote le invia il figlio Galeotto per confortarla e consegnarle una grossa somma di denaro. Gli affianca lo Scarabelli in qualità di Maggiordomo in quanto esperto di lingua francese e geografia. Ancora una volta egli porta a termine i suoi compiti con un’efficienza tale da riuscire a soddisfare pienamente le aspettative dei suoi Signori.

E’ l’apice della sua carriera; con la morte del Duca Alessandro II, avvenuta il 3 febbraio del 1691, le cose cambiano drasticamente. L’erede al trono è Francesco Maria, nipote di Alessandro II, ma, essendo questi infante, è nominata reggente la principessa Brigida Pico, sorella del defunto Duca. Mal consigliata dai propri ministri, essa licenzia coloro che erano stati i più fedeli servitori di Alessandro; tra questi vi è messer Giuseppe Scarabelli. Poco male, il nostro ha ormai 65 anni anni e ne approfitta per ritirarsi a vita privata nel suo palazzo sito in Via di Mezzo, dalle parti dell’odierna S. Giacomo Roncole, dedicandosi all’istruzione del figlio Massimo ed all’hobby della geografia. Intraprende la costruzione di un nuovo globo terrestre e quasi ogni sera Galeotto Pico, al quale Giuseppe ha evidentemente instillato la passione per la geografia e che ha mantenuto nel tempo ottimi rapporti d’amicizia col suo vecchio istruttore, accompagnato dal capitano Manilio Chiavena si reca nella villa per collaborare al progetto. Tale innocente frequentazione si rivela infausta. I figli di Alessandro II, indispettiti dalla drastica riduzione del proprio vitalizio, mettono in dubbio la legittimità dell’investitura di Francesco Maria e la pretendono per il fratello maggiore Galeotto. Presa dal panico Brigida non trova di meglio che inventarsi un fantomatico tentativo di avvelenare il duchino facendogli inalare il veleno attraverso un fiore; esecutore dell’esecrabile atto sarebbe l’Alfiere Lucio Majoli, mandatari ovviamente i tre principi fratelli (una storia che abbiamo già trattato).

La notte del 23 ottobre 1691 Giuseppe Scarabelli, assieme alla moglie Anna Teresa, al figlio Massimo e a due servitori, viene arrestato e gettato in catene nel mastio del castello, come presunto complice. Dalle memorie scritte dal figlio Massimo sappiamo tutto di ciò che Giuseppe patisce nelle segrete del castello dei Pico. Per quattro anni e otto mesi vi rimane incarcerato e viene sottoposto a torture indicibili. I giudici che lo “processano”, imbeccati da Brigida, cercano in tutti i modi di estorcergli una confessione impossibile da ottenere se non con la menzogna da parte del nostro. Senza tener in nessun conto l’avanzata età del prigioniero, viene sottoposto a trattamenti inumani. Viene repentinamente svegliato a notte fonda con la scusa d’interrogatori e conseguente mancanza di sonno, sottoposto ai supplizi della capra e del trabucchello e gli vengono bruciate le piante dei piedi coi carboni ardenti. Tutto questo e molto altro ottengono da parte di Giuseppe null’altro che la richiesta di baciare la santa croce. Pur se in assenza della confessione, l’imputato viene alfine condannato a morte, la moglie ed il figlio al carcere a vita ed ogni avere della famiglia confiscato dalla Camera Ducale. Prima però che la sentenza giunga a compimento, supplicato dal principe Lodovico Pico e dal Duca di Modena Rinaldo d’Este, l’imperatore avoca a sé la revisione del processo ordinando la sospensione della pena.

Il 22 marzo del 1695 lo Scarabelli e famiglia vengono portati a Milano e detenuti nelle carceri della Torretta di Porta Romana. Un anno e tre mesi dopo, il 27 aprile 1697, la famiglia Scarabelli ed i tre principi Pico ottengono l’assoluzione piena “perchè il fatto non sussiste”, come diremmo oggi. Non solo; l’imperatore non esita a mostrare la propria indignazione verso la Curia della Mirandola sottolineando il suo “inumano modo di procedere” e definendo i tormenti subiti dagli imputati “crudeli ed appena intesi fra i barbari”.

Scarcerato e ripresosi da una grave malattia, lo Scarabelli accompagna la moglie nel parmigiano presso i suoi parenti, i marchesi Pallavicini, quindi va a Cavezzo dove decide di stabilire la propria dimora. Qui lo trova nel 1703 il generale Starembergh, comandante in capo dell’armata tedesca in Italia che ha appena conquistato la Mirandola. Il generale lo chiama a sé stimandone altamente le qualità ingegneristiche e, dopo una breve visita alla Mirandola, dopo 12 anni, viene destinato al campo di Quarantoli in qualità d’ingegnere militare. L’avanzata età però non gli consente di sostenerne le fatiche ed ottiene il permesso di tornarsene a casa.

Ma le tribolazioni non sono terminate visto che la principessa Brigida governa ancora la città e, non tenendo in gran conto la sentenza imperiale, gli complica la vita in tutti i modi possibili. Per fortuna l’anno dopo il Duca Francesco Maria licenzia, per così dire, la zia e prende in mano le redini. Con decreto del 4 luglio 1704 il Duca riabilita completamente messer Giuseppe Scarabelli e gli riconsegna tutti i suoi beni che gli erano stati confiscati. Finalmente riacquistata la serenità, ormai privo di forze , trascorre gli ultimi anni quasi sempre a letto e l’8 agosto 1706 si spegne serenamente.

Vanni Chierici

Fonti: Memorie storiche della città e dell’antico ducato della Mirandola – Vol. IV – XVI –

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