Medicina popolare ed “esorcismi”nel Mirandolese e non solo

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Nonostante la sempre maggiore diffusione delle conoscenze igieniche e il formarsi ­in larghi strati della popolazione rurale di opinioni corrette in materia medica, permangono, nelle campagne della Bassa Modenese e talvolta vengono messe in prati­ca,  alcune vecchie usanze di medicina popolare che un tempo erano di prassi frequente.

La più comune di queste è la cosiddetta ” segnatura ” che viene ancora talvolta praticata, anche se con sempre minore frequenza, sia per la guarigione “dei vermi” cioè dell’elmintiasi intestinale, che delle distorsioni che sono dette in dialetto ” baveti”o anche “snèstar”. Snèstar letteralmente significa sinistro (dèstar = destro) e deriva dal latino sinistrum che vuoi dire cosa funesta, incidente.

Sono invece del tutto scomparse, di fronte ai rimedi moderni infinitamente più sicuri ed efficienti, la usanza della cura colle erbe e certe pratiche tradizionali come per esempio quella di usare una emulsione di “saba ” (che è il vin cotto) e di albume d’uovo per la cura delle ustioni, di utilizzare il “vigore ” della cipolla come revulsivo per la cura dell’alopecia e dell’area Celsi, l’olio di oliva per la cura dell’orzaiolo, il lardo per gli ematomi superficiali, ecc..

Tutte queste pratiche avevano una parvenza e assai spesso, come nella cura colle erbe, una giustificazione scientifica ricavata dall’empirismo cioè dall’esperienza delle generazioni, mentre per quello che si riferisce alle segnature si entra nell’ordine delle procedure che mantengono legami coll’irrazionale cioè di carattere magico o superstizioso.

La segnatura consiste in pratica nell’uso di tracciare il segno della Santa Croce sopra determinate parti del corpo. L’uso proviene dal Medioevo (potere taumaturgico del segno della Croce) ed è molto vicino all’esorcismo nel quale, come si sa, Santi ,Vescovi ed Abati colla sola forza della preghiera e del segno della Croce avevano la Possibilità di liberare gli ossessi e i malati da certe malattie che, in linea generale, si riteneva fossero date dal Diavolo.

Come si è detto altra volta (Cappi V. ” Un rituale di guarigione della Bassa Modenese”. Quaderni di Letteratura Medica; 1970, n. 3) un esempio del tutto particola­re di segnatura che viene praticato ancor oggi, per così dire ufficialmente, si ha nel territorio di S. Biagio nel Comune di S. Felice sul Panaro nell’ambito di una manifestazio­ne religiosa che si svolge in occasione della festa del Santo Patrono a febbraio; il fenomeno ha il carat­tere di un inserimento di una credenza popolare nel corpo di una manifestazione devozionale; il segno di Croce è praticato dal sacerdote sul collo e, insieme alla filastroc­ca che la persona recita mentalmente all’insaputa dell’officiante, serve per la difesa dai mali di gola. Per tutte le altre occasioni la segnatura è praticata da un guaritore.

Per la cura dei vermi cioè per guarire dalle infestazioni da vermi si associa alla segnatura che viene praticata sulla fronte, sulla bocca, sul collo, sul petto, all’ombelico e sulla regione pubica la recitazione della formula seguente:

” Al Lunedì Sant, al Martedì Sant, al Merculdì Sant,

al giuvidì Sant, al Venerdì Sant, al sabat Sant,

la Dmenga d’ Passìon

che tutt i verm’a vaga a so destinasion

meno che al verme maestar”

cioè: il Lunedì Santo, il Martedì Santo, ecc., la Domenica di Passione, che i vermi vadano al loro destino meno che il budello maestro, cioè meno che le viscere del malato che se no con questo incanto morrebbe.

Ogni segno di Croce corrisponde rigorosamente ad una determinata parte del corpo (al cervello, sede delle convulsioni, alla bocca che è la via di entrata, al collo,sede della soffocazione, ecc.) e ad un giorno della Settimana Santa che è quella che precede la Pasqua.

La Pasqua, per un motivo che ora ci sfugge, compare come condizione indispensabile al risultato dell’operazione tanto è vero che esiste una seconda versione dello scongiuro che termina con i versetti seguenti:

” . . al Sabat Sant,

La Dmenga d’ Pasqua;

tutt i verm’in tera casca “

(… La Domenica di Pasqua; che tutti i vermi caschino nella terra).

Per la segnatura delle distorsioni, le già ricordate bavette, si annoda una cordicella intorno alla articolazione colpita che si ” segna” per tre volte (il 3, come si sa,è il numero magico per eccellenza, ma ha anche significato religioso perché si riferisce ugualmente alla Trinità) e si recita, con forza, come se si desse un comando, una formula segreta che l’operatore ha ” ricevuto ” da un iniziatore dal quale à avuto anche la facoltà e il potere di operare sul malato.

Chi possiede la formula si impegna a non trasmettere mai se non a persona che intenda a sua volta diventare guaritore; questa ” consegna”si può fare una volta sola nella vita. Tuttavia, prima di morire bisogna liberarsi dal segreto altrimenti si avrà una morte molto dolorosa o una punizione dopo di essa,perciò chi non lo avesse ancora fatto può dire, in punto di morte, la formula anche ad un animale, ad un oggetto che sia nella stanza, per es. al gatto e perfino ad una seggiola.Questa necessità liberatoria è tipica dei sortilegi cioè della stregoneria (” striament”)

La formula è la seguente:

” In nom d’Idio, d’Maria e d’S. Alò

ca vaga chi sta tortia se si po’

Storia, brisastorta, sia che si sia

in nom d’Gesù, d’Giuseppe e di Maria “.

Se la guarigione non avviene in un breve giro di tempo, passati tre giorni si slega la cordicella; contemporaneamente si “slega” la malattia che abbandona la articolazione.

Come ho detto la formula è inedita; ne ho potuto avere il testo “sub condicti one”da una guaritrice, mia cliente, che spero non venga mai a conoscenza del “tradimento”

S.Alò è uno dei non pochi Santi della Medicina Popolare che non si trovano nel “lunario” (forse però è da identificarsi nell’orefice S. Elois importato dalle truppe francesi che tanto hanno stanziato nella regione e in Emilia) ma è talvolta ancora invocato, specie dalle donne, spesso semplicemente in segno di stupore o per chiedere un aiuto generico in occasioni di qualsiasi genere: « S. Alò aiutàm ». Tuttavia non mancava anche chi metteva in dubbio le sue proprietà taumaturgiche come si ricava dal seguente detto oramai quasi sconosciuto ma estremamente indicativo:

«  S.Alò – che prima al muri e po’ al s’curò” (che prima morì e poi cominciò a caurarsi) (talvolta anche “che prima al murì e po’ al s’smalò”, cioè dopo si ammalò).

Un’altra pratica di carattere magico ora però, e da tempo abbandonata , era l’uso di “infornare” cioè mettere nel forno di casa (spento!) quei lattanti che non crescevano bene, che stentavano ad attaccarsi (al seno), il visetto dei quali per la denutrizione e la magrezza era diventato vizzo, simile a quello di un vecchietto o di una piccola scimmia.

Questi banbinini avevano il male dello ” scimmiotto” (al scimmiot).

Contro questo male (che deve ¡dentificarsi nella distrofia del lattante spesso accompagnata da disturbi gastroenterici gravi, con disidratazione, ecc.) le cure mediche del tempo si dimostravano spesso inefficaci.

Il bimbo veniva legato col suo portinfante sulla pala del pane introdotto per tre volte nella bocca del forno e ogni volta si pronunciavano le seguenti parole:

” Forna e dasforna scimmiot mai più torna”.

” Inforna e sforna cessa di essere scimmiotto”

In antico la pratica era diffusa in tutto il Modenese e perciò si hanno diverse  formule accompagnatorie, ma nel Mirandolese la più usata era la seguente:

“In nom d’Idio e d’ S. Simon dentar na stria e fora un paston “.

Nel nome di Dio e di S. Simone inforno una schiacciata (in senso figurato un piccolo pezzo di pasta), venga fuori il pastone (letteralmente il pastone è tutto l’impasto del pane).

Il Santo invocato è, a mio parere, il bambino S. Simone da Trento che era piuttosto popolare nel mondo dell’infanzia della antica regione mirandolese come e dimostato per es da questa bella canzoncina che si cantava al mattino appunto per aiutare o rendere meno stizzoso il risveglio ai bambini:

” Din, don, Campanon

la campana d’S. Simon

gh’era sotta du puten

un gaten e un cagnulen

cagnulen bau bau

e la gata miau miau

al galett chicchirichì

salta su puten ch’l’è dì “

Cantata sulla stessa tonalità altrettanto graziosa:

” Nanèn cuchèn, nanèn cucheta

che la mama l’è andada a Messa

a cumprar un scranèn furà

a cumprart’ un bel scranèn

fa la nana al me puten “.

Come è evidente chi canta è la nonna (la mamma è alla Messa e il padre al mercato); il seggiolino forato cioè col fondo forato era una specie di trono sul quale deposto, e assai spesso per ore intanto che le donne sfaccendavano, il bimbo, detto affettuosamente anche ” al pison” cioè il pisciatore che poteva rimanere asciutto perché il suo bagnato colava dai buchi.

Una altra pratica che,come la precedente, è già da tempo abbandonata e che è  giunta a noi certamente mutilata ed incompleta è quella chiamata ” i Sabati ” che serviva molto innocentemente, nonostante alcuni aspetti di carattere magico, a tentare di far camminare i bambini che per qualche motivo non erano in grado di farlo ad una età ritenuta idonea.

Il bimbo veniva portato per tre Sabati consecutivi, sul far della sera, ad un crocicchio di campagna e sostenuto per le ascelle veniva fatto camminare ” a croce ” cioè da un angolo all’altro del crocicchio per tre volte intanto si dicevano un Ave Pater – Gloria e la formula seguente:

” Na croos, do croos, tre croos

fel d’bò, sangv’d’galina

un pass, du pass, tri pass

fa ca gira sta putina “.

Il Sabato (caro alle Streghe), il numero 3, le interiora e il sangue di animai domestici sono gli ingredienti vecchissimi di tanti sortilegi del tipo della cosiddetta magia nera di cui qui indubbiamente esistono lontanissime reminiscenze; ma a documentare la innocenza, la religiosità e la semplicità dell’anima popolare compare la invocazione indiretta a Dio e alla Vergine mediante le tre più belle e comuni preghiere della Chiesa.

Per la cura dei vermi, dopo che si erano praticate con insuccesso la segnatura e le pratiche casalinghe di far mangiare una pappina di aglio, di far annusare dell’aglio crudo o di far portare al collo una collana di spicchi di aglio (infilati in un filo di canapa vergine) si ricorreva talvolta alla piombatura.

Quando il bambino diventava viola cioè cianotico, nel corso di una grave crisi asfittica per es., la piombatura era indispensabile perché poteva decidere della vita; tuttavia la pratica era ritenuta pericolosa perché la sua forza è tale che penetra nel cervello e può dare disturbi importanti. Per questo pochi adottavano tale sistema.

Si prendeva un poco di piombo, di solito disfacendo una cartuccia da caccia e lo si faceva fondere dentro un mestolo di rame sul fuoco; indi lo si versava, così fluido, in un bicchiere colmo di acqua, sostenuto sul capo del bimbo che era protetto dagli schizzi incandescenti da un tovagliolo o da un panno disteso; il metallo a contatto col freddo del liquido, ritornava allo stato solido assumendo un aspetto vermiforme, cioè prendeva la forma del verme, in frammenti, che così, morto e spezzato, abbandonava il malato. La guarigione poteva anche non avvenire se la testa del verme cioè uno dei frammenti terminali più grossi del metallo rimaneva per qualche tempo contro il vetro, rivolto verso l’alto cioè verso il bordo e non verso il fondo del bicchiere.

E’ opportuno a questo punto mettere in evidenza che queste pratiche in quan­to basate sulla superstizione e sull’irrazionale, al contrario di quelle come per es. il già ricordato uso delle erbe che avevano un fondamento ragionevole e almeno in parte giustificabile, godevano di una diffusione relativa ed erano adottate, anche nel tempo e nei luoghi in cui ebbero maggior credito, soltanto dalla parte più rozza ed ingenua della popolazione.

Tuttavia il loro ricordo merita ugualmente di essere conservato e fissato per diversi motivi:

1.°) perché esse hanno fatto parte del comportamento e delle credenze cioè del modo di vivere e di pensare e quindi del patrimonio etnico delle popolazioni delle nostre campagne;

2.°) perché tra pochi anni esse saranno completamente sommer­se dal tempo, perdute alla nostra conoscenza e quindi irraggiungibili dagli studiosi;

3.°) perché, in quanto hanno voluto avere qualche rapporto coll’arte del guarire, esse han­no fatto parte, bene o male, del corpo della Medicina Popolare e quindi della Storia della Medicina della nostra regione.

Vilmo Cappi

Tratto da “LA MIA MIRANDOLA” 1999

2 Responses to Medicina popolare ed “esorcismi”nel Mirandolese e non solo

  1. Sara says:

    Molto interessante perché certe pratiche sono conosciute da pochi e spesso solo da donne

  2. Massimo says:

    Bellissima storia. Ne ho sentite parecchie cantare e ho ricordi nitidi di come avviare i bimbi a camminare.

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