Lo Zuccherificio di Mirandola – Nascita, sviluppo e fine.

Commenti (1) Racconti

1949-Zuccherificio--web

La nascita della Distilleria

L’attenzione dei Piaggio per l’Industria Saccarifera parte dal lontano 1888 per volontà di Era­smo Piaggio con la creazione della “Raffineria Genovese”, che si limitava alla raffinazione dello zucchero greggio importato, in quanto la coltivazione della barbabietola era appena ai primordi. Costituendo la Società, Erasmo Piaggio non intendeva però limitare la sua opera alla raffinazione, ma si proponeva di contribuire a creare un’industria italiana dello zucchero com­prendente la coltivazione della barbabietola e la sua conseguente trasformazione in zucchero.

I terreni della Bassa Modenese erano adatti a questa coltivazione, ed infatti tale coltura si impose sempre più nelle aziende agricole, aggiungendosi alle tradizionali coltivazioni nella rotazione agraria, che alternava con granoturco, frumento ed erba medica.

Sarà sotto la direzione del figlio di Erasmo, Carlo Piaggio, che verrà costruita la Distilleria di Mirandola.

Il contesto economico e politico internazionale è ben sintetizzato da Valerio Castronovo nella Storia d’Italia Einaudi: “La crisi economica del 1929 provocò, in seguito alla disintegrazione del mercato internazionale e alla riduzione degli scambi, il ritorno a una rigida politica doganale… L’Italia (…) non solo ebbe a rinchiudersi in un isolamento economico che la portò progressi­vamente a tagliare i ponti con l’area dei paesi capitalistici occidentali, ma scivolò verso un vero e proprio regime autarchico. Sono note le ragioni di carattere politico che, in coincidenza con la guerra d’Etiopia e le sanzioni varate dalla Società delle Nazioni, concorsero ad accentuare l’indirizzo restrittivo e vincolistico della politica economica e a modificare radicalmente le scelte geografiche del commercio estero italiano, tendenti dal 1935-1936 ad un ancoraggio con la Germania hitleriana.”

Sottolinea Gino Luzzatto, storico dell’economia: “La politica autarchica italiana, che raggiun­se l’apice dopo il 1935, fu indirizzata a due scopi: intensificazione della produzione agricola di derrate alimentari e moltiplicazione delle industrie di trasformazione che fornissero tutti quei prodotti che in passato si dovevano importare. Questo incremento industriale, invece di rendere l’Italia economicamente indipendente, fece aumentare la richiesta di combustibili fossili e liquidi, di cui la nostra penisola manca totalmente, e quella del ferro, della cellulosa, del cotone e di altre fibre tessili di cui siamo estremamente poveri”.

Nell’ambito di questa politica autarchica si colloca la decisione di costruire la Distilleria di Mi­randola per far fronte alla necessità di produrre alcol per autotrazione.

La distilleria doveva essere costruita lungo l’attuale viale Gramsci, che all’epoca era denomi­nato viale XXVIII ottobre, a ricordo della marcia su Roma avvenuta il 28 ottobre 1922.

La costruzione della distilleria ha inizio e i lavori sono condotti tanto rapidamente che già nell’estate del 1936 l’impianto è ultimato ed è in grado di lavorare le barbabietole.

Nella lavorazione della barbabietola l’utilizzo dell’acqua riveste un’importanza fondamentale per i diversi impieghi nel processo di trasformazione del prodotto. Le barbabietole vengono spinte idraulicamente, mediante getti d acqua, dal silo in una canaletta che le convoglia, per galleggiamento, in fabbrica. Vengono sollevate, a mezzo di pompe, verso il reparto di lavora­zione, e quindi entrano nelle lavatrici, dove vengono ripulite. L’acqua melmosa, che risulta da questi lavaggi, viene inviata in vasche di stoccaggio e decantazione per consentire il successivo riutilizzo.

La collocazione nel territorio della Bassa Modenese della distilleria ha costituito un concreto aiuto per le aziende agricole, in quanto all’epoca i mezzi di trasporto per la consegna del pro­dotto non erano adeguati per le lunghe distanze, essendo per lo più carri e carretti trainati da animali. La vicinanza dello stabilimento al luogo di produzione portò ad aumentare, di anno in anno, la superficie coltivata a barbabietola, andando a sostituirsi alla canapa verde, sua diretta concorrente.

1935-Distilleria Mirandola zuccherificio gent.conc.Lorenzo Barbi

Dalla guerra agli anni 60

Durante il conflitto mondiale la Distilleria di Mirandola era una fabbrica che produceva per la nazione in guerra, infatti la sua lavorazione era indispensabile per la produzione di alcol per au­totrazione. I lavoratori perciò erano esonerati dal servizio militare in quanto lavoravano anche per l’industria bellica.

La campagna 1941 è caratterizzata dalla scarsità delle barbabietole da lavorare; di conseguenza, per far fronte alle esigenze di lavorazione e di produzione di alcol, la Distilleria di Mirandola decide di importare zucchero dall’estero e precisamente dalla Bulgaria, dall’Ungheria, dalla Jugoslavia, dalla Boemia e dalla Moldavia. Notevole dovette essere il traffico dei vagoni ferroviari in entrata ed in uscita. Dentro l’area della distilleria c’era una linea ferroviaria interna Decauville, a scartamento ridotto, dotata di locomotore proprio e di vagoni che servivano per trasportare zucchero, carbone e materiali vari tra i diversi reparti della fabbrica.

Su disposizione del Ministero per l’Agricoltura e le Foreste, quasi tutti i Prefetti delle Province bieticole emanarono, ai primi del mese di marzo 1942, decreti inerenti l’obbligatorietà per gli agricoltori di coltivare barbabietole, una coltura ormai diventata strategica per la produzione di una serie di prodotti e sottoprodotti, che andavano dallo zucchero all’alcol, alle polpe fre­sche e secche per l’alimentazione del bestiame, al melasso per produrre alcol.

Al termine delle ostilità belliche le rovine provocate apparvero come una terrificante realtà dell’entità del disastro nazionale: città dilaniate, borghi rurali devastati, ponti distrutti, strade e ferrovie sconvolte, fabbriche ridotte a cumuli di macerie, chiese straziate, casolari devastati, terreni sconvolti. Una guerra senza quartiere e senza pietà aveva lasciato una scia di morti innocenti.

Alla stessa stregua di questo triste bilancio si poterono valutare anche i danni arrecati all’in­dustria saccarifera italiana, una delle più fiorenti del paese. Nel 1940, primo anno di guerra, contava 54 zuccherifici e 22 distillerie, in parte autonome ed in parte aggregate alle fabbriche; gli stabilimenti avevano potuto lavorare, ad una media di 660.000 quintali al giorno, più di 50 milioni di quintali di bietole, producendo complessivamente 5 milioni e mezzo di quintali di zucchero e 800.000 ettanidri di alcol, produzione largamente eccedente i consumi registrati in quegli anni.

Con l’inizio delle incursioni aeree sul nostro Paese, ben pochi stabilimenti furono risparmiati. E man mano che si spostava il fronte, ai bombardamenti aerei si aggiungevano tutte le altre conseguenze della guerra: cannoneggiamenti, mitragliamenti, occupazioni da parte dei tedeschi o degli alleati, devastazioni operate dalle truppe in ritirata, asportazioni di macchinario e di scorte di prodotti.

Alla cessazione delle ostilità ben 60 impianti risultavano in diversa misura gravemente colpiti, fra i quali la Distilleria di Mirandola.

In meno di quattro mesi dalla Liberazione, 27 fabbriche furono messe in condizione di ef­fettuare la campagna e poterono lavorare il prodotto di 17.000 ettari coltivati a bietole pro­ducendo, nella campagna 1945, ben 175.000 quintali di zucchero. Già nella campagna sac­carifera successiva, quella del 1946, 53 fabbriche poterono ritirare 22 milioni di quintali di bietole, producendo circa 2.400.000 quintali di zucchero. In questo modo si potè rifornire la popolazione per 8/10 del suo fabbisogno di zucchero e, in una annata di grave scarsità di foraggi, un’abbondante quantità di polpe, che facilitò la ripresa dell’allevamento del bestiame. L’anno 1947 possiamo definirlo l’anno della svolta nella lavorazione dello Stabilimento di Mirandola, che sarà orientato esclusivamente verso la produzione di zucchero, fino alla sua definitiva chiusura.

Poiché la fabbrica di Mirandola produceva zucchero greggio, questo veniva spedito per la raf­finazione alle raffinerie di Bologna e Legnago utilizzando i vagoni ferroviari.

La movimentazione dei carri ferroviari interna allo stabilimento avveniva utilizzando il loco­motore “ORENSTEIN & KOPPEL” di proprietà della distilleria.

Durante la campagna 1951 lo scarico delle bietole dagli automezzi avviene ancora manual­mente per l’86%, contro una percentuale del 14% di scarico meccanico, fatto utilizzando una gru a reti di canapa. L’utilizzo della gru nello scarico delle bietole dai mezzi portò ad un rap­porto conflittuale tra la Direzione della fabbrica e la carovana facchini.

Solo nella campagna 1959 finalmente fu risolto l’annoso problema dello scarico a mano, con conseguenti rapporti conflittuali con la carovana facchini, e si inaugurò il nuovo scarico mec­canico delle bietole “ELFA”, provvisto di due piattaforme ribaltabili e di una torre a getto d’acqua che convogliava le bietole in fabbrica.

Zuccherificio-anni-settanta-web

Sviluppo e fine dello Zuccherificio

La coltivazione della barbabietola finalmente è liberalizzata, a partire dal 1962, con la fine del regime di imposizione e limitazione disposto dal Ministero per l’Agricoltura e le Foreste. Il mondo del lavoro incomincia a cambiare. Si registra una fase di espansione e sviluppo economico, i giovani agricoltori trovano possibilità di occupazione in settori diversi da quelli tradizionali e danno una svolta decisamente nuova alla loro vita: vengono loro offerte nuove opportunità dall’industria, dal commercio e dall’artigianato che sempre più si stan­no sviluppando e richiedono nuova mano d’opera e professionalità.

È in questo contesto che si riflette la “relazione agricola” della campagna saccarifera 1962, nella quale si sottolineano questi cambiamenti non trascurando la principale attività dello zuccherificio, ovvero la lavorazione della barbabietola:

“Ci siamo adoperati con ogni mezzo per incrementare la coltivazione della bietola onde procurarci un quantitativo di materia prima adeguata alla potenzialità della nostra fabbri­ca. Questa nuova linea di condotta ci veniva suggerita dalla scarsa produzione del 1961 e dall’aumento del consumo dello zucchero, dal crescente disinteresse che gli interventi go­vernativi avevano procurato nei coltivatori e soprattutto dalla scarsità della mano d’opera che minacciava di ridurre ulteriormente l’ettarato a bietole.

I motivi che hanno indotto i rurali ad abbandonare la terra sono in stretta relazione con lo sviluppo industriale della nostra zona: infatti abbiamo constatato che la maggior parte della mano d’opera è stata assorbita dalle varie industrie locali, con particolare riguardo a qulle edili e tessili che ultimamente hanno raggiunto una ragguardevole floridezza.

L’aspetto più significativo della cosa è rappresentata dal fatto che l’esodo rurale interessa un po’ tutte le categorie, compresa quella dei coltivatori diretti. Infatti se l’abbandono delle campagne riguardasse solo i braccianti, i compartecipanti ed i salariati, il fenomeno, pur presentandosi grave, assumerebbe un significato meno allarmante di quello che assume nel momento in cui constatiamo che anche fra i coltivatori diretti, specialmente i giovani, ci sono quelli che preferiscono occuparsi come operai comuni piuttosto che lavorare e vedere fruttare la propria terrà.

La causa prima di questo fenomeno va ricercata nel lento progresso dell’agricoltura rispet­to a quello che si sta verificando nei diversi settori dell’industria, ma anche nella sfiducia degli agricoltori verso la terra alla quale una volta erano tanto attaccati.

A tale proposito dobbiamo rilevare che l’esodo rurale non si è verificato gradatamente, come per solito avvengono le trasformazioni di carattere agricolo, ma si è propagato nel nostro intero comprensorio con una rapidità così sorprendente che i coltivatori sono venuti a trovarsi senza mano d’opera prima ancora di avere preso in considerazione la possibilità e l’utilità di meccanizzarsi. Infatti se pensiamo che sino a pochi anni fa la coltivazione della bietola veniva adottata da qualche azienda per la grande quantità di personale che assorbi­va, possiamo renderci conto di come la situazione sia precipitata in brevissimo tempo […]. Per quanto concerne i lavori colturali come al solito le sarchiature sono state effettuate prevalentemente con la zappa o con la zappetta, tuttavia una parte di coltivatori si è orientata verso la meccanizzazione ed ha acquistato la motozappa.

Queste macchine i coltivatori hanno potuto acquistarle in quanto è stato anticipato alle Ditte costruttrici la somma corrispondente al valore delle macchine addebitandone l’im­porto sul conto bietole.

Il numero di motozappe acquistate dai nostri coltivatori, cioè 43, non è così trascurabile come sembra quando si pensa che sino al 1961 queste macchine erano quasi sconosciute e che la relativa spesa non è alla portata di tutti, perciò riteniamo che il nostro intervento sia molto efficace ogni qualvolta miriamo ad incoraggiare una determinata spesa da parte dei coltivatori che dispongono per la maggioranza di poco liquido.”

Già a partire dalla campagna 1960 lo scarico dei veicoli a traino animale, per quanto oramai assai contenuto, fu facilitato con la costruzione di un’apposita botola in prossimità dell im­pianto di scarico meccanico, posizionata in modo da permettere lo scarico diretto dai carri. Per ovviare al problema della mancanza di mano d’opera nell’agricoltura e specialmente nella coltivazione delle barbabietole, lo Zuccherificio di Mirandola aveva costituito un parco macchine da noleggiare ai coltivatori e ne finanziava anche l’acquisto, agevolando il pagamento con rate annuali, da rimborsare mediante trattenute da effettuarsi al momento del pagamento del prodotto.

Prima della campagna 1969 fu realizzata la condotta dal Diversivo, che consentì di prelevare un quantitativo di acqua pari a 15.000 litri al minuto, corrispondente al fabbisogno della fab­brica in piena lavorazione.

Venne segnalata da parte della Direzione dello Stabilimento alla Direzione della Società la necessità di creare un piazzale di sosta per i mezzi carichi di bietole, in quanto le Autorità Comunali non potevano più permettere la sosta permanente, con l’occupazione di circa tre chilometri del viale Gramsci, parte verso Mirandola e parte verso Cividale.

Aumentando la capacità di lavorazione, fu accolta la proposta del Direttore per la costruzione di due hangar destinati allo stivaggio delle polpe secche.

La campagna saccarifera 1969, che avrebbe dovuto iniziare nella settimana dall 11 al 16 agosto, fu invece rimandata al 20 agosto perché le attrezzature non erano ancora pronte a causa dei notevoli ritardi nella consegna da parte delle imprese installataci.

Nella campagna saccarifera dello stesso anno si procedette a collaudare i nuovi impianti, che consentirono allo Stabilimento di superare i 40.000 quintali giornalieri. Questo quantitativo di bietole lavorate sarebbe rimasto invariato fino al 1986, ultimo anno di attività.

Franco Bianchi

Tratto da: 50 Anni con il “Galilei” 1959 – 2009 – A cura di Fabio Balboni, Ubaldo Chiarotti, Giuseppe Pedrielli

50 anni con il Galilei

One Response to Lo Zuccherificio di Mirandola – Nascita, sviluppo e fine.

  1. Ubaldo Chiarotti says:

    Al me paes…. Quarentul !
    LA CAMPAGNA DAL BIETULI
    Iup Pipiiiii……, quend in Agost ogni tent in gir pr’al paes at sintiv Pepo Gandolf al carater, padar ad Ciso e nunon ad Claudio, a incitar al so cavalon da tir piemontes, con di pidon ad trenta cm ad diametro, e lù al tacava a pistar, totloc, totloc,……..totloc, alora tè at capiv che ira cuminciaa la campagna dal bietuli. Ma al na gh’ira minga sol lù, a gh’ira enca Guandalen con la so cavala ca fava al carater e tuti du i dasgniva da la strada ad la Bastia e i’ira enca vsinent.
    Al bietuli l’is cavava col rampèn e quend a gh’ira la tera dimondi dura as druava enca la fasa in dla vita con la corda ca tirava al rampèn, par far meno fadiga.
    Na volta cavadi al bietuli a s’ag taiava al foii con l’amsora e bisgniva tor ben la mira par taiar al guston sensa taiaras i dii.
    Finii ad taiari as fava i mucc e is quaciava col foii apena taiadi.
    Quend Pepo Gandolf o Guandalèn i gh’ivan al vias libar i gnivan a cargar al bietuli e chè a gniva al bell parchè al bietuli l’is cargava col furcon che da vod l’ira già 4-5 kilo e pin ad bietuli al n’in dvintava enca 10 o 15 e l’ira un bel sfors a far vular al bietuli ad sovar dal spondi dal car.
    Enca al caval quend al duviva tirar fora al car pen ad bietuli al fava di bei bus da nas, insoma al gla mitiva tuta fin quend al na rivava insima al caradon e lì l’ira tutt nentar andaar…
    Dal caradon pien pien al rivava in strada e lè totloc, totloc,……..totloc, al rivava adlonga al vial ad Sivdal in fila par dascargar al bietuli al sucherifisi e subit dopa al turnava a far nentar vias, tutt questo fin a la fin d’utobar o ai prim ad Nuvembar.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *