La Mirandola – Storia urbanistica di una città – VIII Capitolo – La fortezza della Mirandola

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Anche la demolizione delle mura è un fatto che deve essere addebitato alla cattiva amministrazione della cosa pubblica o almeno alla mancata conoscenza da parte delle Autorità del valore dell’opera.

Si trattava, come si è visto, di una opera concepita in ma­niera organica e secondo determinati canoni militari e di epoca che la rendevano eccezionale nel suo genere, del tipo per es., come si è detto, di Palmanova o di Sabbioneta, diversa cioè da quelle costruite per «addizione» o con adattamenti di opere bastionate su cinte preesistenti, con soluzioni episodiche e con­tingenti di ingegneria ed architettura militari (pur con risultati estetici e funzionari soddisfacenti) di tante altre città.

Come si è detto, la costruzione risaliva al secolo XVI ed era allora quanto di più aggiornato si potesse pensare; la sua realizzazione era durata più di 50 anni, un periodo relativa­mente breve, ma, come succede per le opere del genere, la sua manutenzione era incessante e il suo perfezionamento continuo; non tanto per risarcire i danni di natura contingente causati dalle guerre o dalle intemperie (chè questo era proprio della natura e delle funzioni del manufatto) quanto per la lenta ed incessante necessità di adattare le sue diverse parti alle esigenze poste dalle sempre rinnovantesi concezioni strategiche e dal perfezionarsi delle armi da fuoco.

Quando la Città, dopo l’ultima guerra di Successione, nella seconda metà circa del secolo XVIII, decadde dalla sua fun­zione di fortezza venne meno la necessità di curare la manu­tenzione dell’opera che fu praticamente abbandonata a se stessa. Così circa un secolo dopo, quando si formò il proposito della loro demolizione, le mura avevano già subito una degradazione notevole sia perché abbassate al cordolo nel 1783 e poi nel 1832, sia per le naturali aggressioni del tempo, tanto da com­parire inrestaurabili. La incuria delle Amministrazioni era stata in certo senso «giustificata» dalla situazione di generale deca­denza edilizia in cui si trovava la città ormai priva di quasi tutti gli edifici più importanti.

Veniva perciò a mancare, come si è detto, una giusta valu­tazione del significato dell’opera; né va dimenticato che il «pro­gresso» si opponeva alla mummificazione delle periferie urbane e l’idea allora corrente (che giustificava l’abbattimento delle mura in quasi tutte le città d’Italia) era che queste al punto di abbandono in cui si trovavano erano diventate motivo di insa­lubrità e causa delle difficoltà del collegamento viario ed umano tra le città storiche e quelle che si andavano costituendo al loro esterno. In queste condizioni e con questo modo di vedere, data anche la enormità del costo di un eventuale restauro, non si vide alcuna possibilità di adottare per la Mirandola una solu­zione del tipo di quella presa per es. per Lucca, per Urbino; ci si sottomise, del resto forse per ragioni che allora sembravano avere un loro peso, allo stesso ordine di idee di carattere contin­gente e provvisorio, che subito dopo l’ultima guerra favorì e poi consentì la distruzione del grande Bosco detto allora di S. Felice (ricchezza e spettacolo naturali di non comune statura) modifi­cando l’equilibrio ecologico della plaga senza averne un corrispet­tivo vantaggio agricolo ed economico o di qualsiasi altra natura.

La cinta murata della Mirandola, quasi un’opera d’arte, certa­mente una delle più belle opere di ingegneria militare del secolo XVI fu distrutta, praticamente dal 1876 al 1896, tra la indiffe­renza generale e le inascoltate proteste di pochi. Di essa non restano tracce. Come si è detto altrove, al suo posto fu piantato un viale di platani, allora detto il Passeggio, che ancor oggi si vede.

Pianta e profili della Piazza della Mirandola

Dal punto di vista descrittivo nell’esame delle mura e delle opere difen­sive della Mirandola si devono prendere in considerazione distintamente due parti: la cinta delle fortificazioni interne cioè le mura vere e proprie con le loro opere fisse (rampare, ciglio di fuoco, ecc.) e la cinta delle fortificazioni esterne cioè gli spalti con le loro opere aggiunte.

Mentre la tipologia della prima non aveva subito praticamente grandi modificazioni dall’epoca della sua costruzione, lungo il perimetro della seconda all’esterno del fossato erano state costruite nel corso del tempo delle nuove opere fortificate dette appunto «addizionali» e anche, più propriamente, lunette avanzate. Si trattava in pratica di veri e propri fortini, a forma di cuneo, quasi sempre a prova, come si soleva dire, cioè con una casamatta centrale a prova di bomba, costruiti in terra battuta e legname, che dato l’allungamento della gittata delle artiglierie avevano lo scopo di tenere la linea dell’attaccante il più lontano possibile. Questi fortini erano congiunti mediante un cammino coperto alla strada che correva dietro alla palizzata; il complesso del fortino e del camminamento si chiamava freccia. Oltre alla freccia del baluardo del Castello, la più antica poi soppressa o per dir meglio fortemente modificata, erano stati costruiti quattro fortini addizionali, a prova, in punta allo spalto dei baluardi dei Gesuiti, dei Cappuccini, dei Servi e di S. Martino.

Disegno in china acquerellato, con didascalie, di Giuseppe Scarabelli, 1749, Cartella 3: n.197 ; Archivio di Stato di Modena

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Sotto alla figura si vedono i profili cioè le sezioni delle mura, del fos­sato e delle fortificazioni esterne.

Profilo del baluardo dei Servi (D-D): spalto vero e proprio detto anche controscarpa; palizzata (in pali ed assi di rovere o altro legname di «alberi boni»), strada coperta (cioè nascosta dalla palizzata, nella quale i soldati potevano muoversi al riparo dalla vista e dalla fucileria nemiche) con pic­cole piazze d’armi lungo il percorso e sponda esterna del fossato, fossato, muro di città o di controscarpa detto anche scarpa esterna (che formava la seconda sponda del fossato), ciglio di fuoco, scarpa interna o rampare (in terra battuta con tratti selciati a sassi vivi; per la salita alle mura).

In alcuni settori della cinta (cortina del Bonaga, G-H) si aveva davanti alle mura, proprio sul bordo del fossato, un piccolo terrapieno con parapetto detto secondo rampare o anche falsabraga che serviva per la postazione dei fucilieri.

Il Bastione dei Gesuiti

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Il disegno eseguito a corredo di una relazione tecnica si presta egregia­mente al recupero ideale dell’aspetto del manufatto perché rappresenta con esemplare chiarezza la configurazione del baluardo in sezione, in pianta ed in alzato; nello stesso tempo ci dà un’idea di come si presentavano le mura dalla parte di città col loro rampare in terra battuta, il parapetto del muro (o ciglio di fuoco), le postazioni per l’artiglieria, la garitta sospesa e, partico­lare di grande interesse, una porta del soccorso o delle sortite, come anche si diceva, nascosta dietro una spalla del bastione.

Di grande interesse, anche, la rappresentazione di un «cavaliere» cioè un rialzo di terra battuta e, talvolta, ingabbiata che si alzava al di sopra delle mura come una torretta di osservazione.

"Miranda Mirandulae" - ( La meravigliosa Mirandola )

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Una «idea» di come era la Città intatta, con le mura e gli edifici più importanti e caratteristici ancora in piedi, ci è data da questa meravigliosa veduta da sud risalente al tempo in cui la Mirandola si trovava nel massimo del suo splendore edilizio.

La città compare circondata dall’acqua; dal parapetto delle mura spor­gono i tetti delle case, le torri, le alte facciate delle chiese coi loro campa­nili. Si riconoscono la Torre Grande di G. Francesco, le torri della cortina di sud del castello tra le quali l’ultima, quadrata, è quella detta di piazza o dell’orologio, il campanile e la fiancata sinistra del Duomo dietro alla quale si innalza l’alta cupola dell’oratorio del SS. Rosario; indi si vede il campa­nile e il tetto della chiesa di S. Francesco e a destra di questa il campanile della chiesa dei Servi; poi, il Gesù; il fabbricato che sorge nei pressi dell’ul­timo bastione è la chiesa dei Cappuccini.

Sul campanile del Duomo, il più alto della Città, si vede la figura di un angelo alla banderuola; l’angelo, in rame dorato, vi era stato messo nel­l’anno 1677; crollò, colla cima della torre, nel 1695. Queste date permet­tono di inquadrare con precisione l’epoca della veduta.

Assedio e resa della Mirandola alle armi spagnole il giorno 31 agosto 1735

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Il panorama è preso da ponente; la figura si riferisce alla Guerra di Successione Polacca e mostra la fortezza (dalla quale si alzano dense nubi di fumo) che sta per arrendersi alle Truppe Spagnole.

L’episodio fu il fatto d’arme più importante di tutta la Guerra; le opera­zioni furono condotte magistralmente ed eroicamente da una parte e dal­l’altra tanto che l’avvenimento ebbe una grandissima risonanza dal punto di vista militare e quindi una abbondante iconografia celebrativa. I disegni, per essere stati rilevati da ingegneri e tecnici militari, si rivelano per ciò che si riferisce alla descrizione delle opere fortificate della massima esattezza. Infatti l’andamento della cinta (da destra: bastione dei Servi, del Bonaga, di S. Martino e di Cantarana ossia di S. Agostino) è disegnato in scala e con grande precisione; invece non sembrano altrettanto esatte la rappresentazione e la collocazione delle chiese e degli edifici della città.

Tratto da: La Mirandola – Storia urbanistica di una città

Autore: Vilmo Cappi

A cura: Cassa di Risparmio di Mirandola – Seconda Edizione a cura del Circolo “G.Morandi” di Mirandola.

Anno: 2000

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