La linea Mirandola-San Possidonio-Concordia-Rolo: l’incompiuta per eccellenza.

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Stazione treni Mirandola0001

La linea Mirandola-San Possidonio-Concordia-Rolo: l’incompiuta per eccellenza.

Vari furono i soggetti e gli enti, coi relativi progetti ferroviari, che si mossero lungo l’asse Mirandola-Novellara/Suzzara e varie furono pure le domande di concessione richieste al Ministero (dapprima da un’impresa privata ed infine dalle Province di Modena e Reggio). Occorse un arco temporale di circa 30 anni (dagli anni ’80 dell’800 agli anni ’10 del ‘900), per arrivare alla stesura di un progetto definitivo (1917) che arrivò poi a toccare il tra­guardo dell’inizio dei lavori (1921 ).

Il sogno della completa realizzazio­ne, però, si infranse sotto il peso di due guerre, di crisi generali del Paese, della burocrazia, delle dispute per le varianti proposte, del disimpegno da parte della Provincia di Reggio Emilia, di un tentativo di bloccare i lavori da parte dello Stato ed infine di contenziosi legali. Fra i motivi del manca­to completamento della linea occorre annoverare anche eventi sfortunati, come quello della scomparsa prematura di un costruttore. Eppure la Bassa o meglio le Basse (definite in taluni documenti “la contrada intermedia”) seppero comunque riunirsi attorno ad un progetto che parlava di lavoro per tutti, di emancipazione da una millenaria vocazione agricola, di un ruolo centrale che i confini avevano sempre mortificato.

Così, la linea della Bassa modenese, reggiana e mantovana, univa questi punti cardini di parti di diversi territori che in fondo si assomigliavano più di quanto si pensasse. La distanza dai rispettivi capoluoghi di Provincia, la forte tradi­zione agricola, la mancanza diffusa di lavoro, le terre che necessitavano di un’intensa opera di bonifica, erano problemi su cui si univano i destini dei nostri avi e su cui si concentravano le attenzioni per trovare una soluzione comune.

Le genti della Bassa seppero superare le divisioni iniziali e riu­nirsi attorno al treno, che rappresentava il mezzo che univa e che faceva la forza. E gli ostacoli e gli inconvenienti da combattere furono veramente tanti. La linea poi non toccava neppure una qualche grande città e si pote­va contare solo su se stessi o, tutt’al più, sui propri referenti politici provin­ciali. Inoltre la strada ferrata faceva convergere, sotto la propria bandiera, le ambizioni, le aspirazioni, i desideri di persone provenienti dai ceti so­ciali più disparati. Allora non c’era la televisione e nemmeno la radio. La comunicazione delle informazioni era affidata ai giornali che, però, era­no destinati alla lettura di pochi. Le adunanze di cittadini, chiamati nelle piazze, divennero allora il modo con cui le autorità locali cercavano di raccogliere il consenso e di accendere gli animi. In questo modo l’eco di quelle tante voci giungeva fino ai palazzi del potere.

L’intento era quello di aprire i cordoni della borsa de­gli uomini che dovevano decretare ed approvare l’opera. E per quella ferrovia le adunanze ed i convegni furono molti. Tanta era l’importanza che veniva data dagli amministrato­ri, dagli uomini politici locali e dai progettisti di quel periodo. Gregorio Agnini, tanto per citarne qualcuno, è un nome che spesso appare ac­canto a quelli di tanti altri che pro­pugnarono la costruzione di una strada ferrata col legante i centri del­la Bassa.

ll finalese Cregorio Agnini fu deputato al Parlamento per un trentacinquennio, dal 1891 al 1926.

ll finalese Cregorio Agnini fu deputato al Parlamento per un trentacinquennio, dal 1891 al 1926.

La linea inizialmente fu progettata (fine Ottocento) con diverse ipotesi sul­la direttrice Mirandola-Gonzaga-Guastalla/Suzzara, ma ben presto (inizi Novecento) si accompagnò ad essa la direttrice Mirandola-Rolo-Novellara. A queste due sopravvisse solo (anni ’10 del ‘900) il tracciato più diretto verso la Provincia Reggiana. Dapprima come tramvia e poi come ferrovia, la linea, subì spesso importanti modifiche richieste dai più disparati sog­getti od enti che si dividevano la scena in capo alle proprie competenze (Comuni, Province, Circolo ferroviario di Bologna, Ministero dei Lavori Pubblici e Consiglio di Stato). Così il tracciato, che subito doveva passare a Sud di Concordia tramite un’unica stazione con San Possidonio (con il difetto di avere però, in questa località, la retrocessione dei treni essendo, la stazione, stata progettata di testa), finì per essere approvato (1917) a Nord seguendo la direttrice di Mirandola-San Possidonio-Concordia-Mo- glia-Novi-Rolo-Fabbrico-Campagnola-Novellara. Gli equilibri in gioco, che potevano pesare per un verso o per l’altro, erano quasi sempre mossi da motivi di campanile oppure da motivi di economia nella realizzazione. La concessione alle Province di Modena e Reggio arrivò nel 1922. Gli anni ’20 del ‘900 furono cruciali per i destini della ferrovia in quanto videro dapprima il blocco temporaneo dei lavori decretato dallo Stato e poi l’usci­ta, dal consorzio degli Enti promotori, della Provincia di Reggio (la linea fu mozzata, nel 1925, della Rolo-Novellara). Infine anche delle lungaggini, dovute allo spostamento di un elettrodotto e ad un contenzioso legale con una ditta costruttrice, contribuirono a dare il colpo di grazia all’opera.

L’infrastruttura, sebbene iniziata attorno al 1921, non seppe raggiungere quella soglia vitale di completamento e soprattutto non seppe passare in­denne ai primi anni di concorrenza della motorizzazione su gomma e finì per morire, ancora prima di essere completata, nel disinteresse di tutti (ma si era già nei fatidici anni del “boom” industriale del dopoguerra). Un paio di curiosità paiono degne di nota. La prima è che per un certo periodo i lavori di costruzione furono affidati ad un Consorzio di Cooperative. La notizia di per sé non sarebbe stata significativa, ma traspare da qualche documento che a tale Società si prospettava di affidare pure il successivo esercizio della ferrovia.

Questo fatto sarebbe stato un’assoluta novità o quasi (la Reggio Emilia-Ciano rimane tutt’ora l’unica ferrovia al mondo che fu anche gestita da una Cooperativa). In quel periodo, infatti, tale tipo di attività era un’esclusiva dello Stato o di Società che si dividevano i profitti dell’esercizio. Il progetto sfumò ed anzi, ad un certo punto, i lavori furono affidati ad un’altra ditta.

Il fabbricato viaggiatori della Stazione di Concordia della mai completata linea Mirandola Rolo. Il sisma del maggio 2012 lo ha danneggiato irrimediabilmente "Fotografia di Fabio Casini)

Il fabbricato viaggiatori della Stazione di Concordia della mai completata linea Mirandola Rolo. Il sisma del maggio 2012 lo ha danneggiato irrimediabilmente “Fotografia di Fabio Casini)

L’altra curiosità è quella inerente la costru­zione del tratto mirandolese della linea. La massicciata fu infatti costruita usando parte della terra che formava la montagnola a ridosso del Castello e per tale intervento occorse l’opera di più di 100 operai. Della vecchia linea ci rimangono in eredità vari fabbricati o annessi delle Stazioni di Mirandola, Concordia (in via di demolizione), San Possidonio, Moglia e Novi, qualche casello ed i resti di pochi manufatti. Una precisazione: l’odierna stazione dismessa di Mirandola, ora delle Autocorriere e che tut­ti conosciamo anche come Sefta, in realtà era la stazione della linea per Rolo e fu costruita negli anni Venti.

Stazione treni Mirandola0001

Su di essa doveva innestarsi la linea di Modena tramite la costruzione di un raccordo di collegamento fra le due stazioni della città (quella per Rolo a Nord di Mirandola e la Sefta che a quel tempo era a Sud della città nei pressi dell’odierno asilo parrocchiale). Di tale raccordo era già stata costruita la massicciata che doveva ospitare i binari, ma successivamente si optò per tenere una stazione unica rappre­sentata dalla stazione della “Rolo” (odierna stazione delle autocorriere), con conseguente soppressione della Stazione Sefta a Sud della città. Così, nel 1931, la massicciata del raccordo fu demolita, mentre fu costruita, 100 mt più ad est, la nuova linea proveniente da Modena. Unaa speciale con­venzione doveva regolare il regime di gestione della stazione fra le due Società (in seguito si paventò anche una gestione unica della Sefta sulle due linee). Con l’uscita di scena della “Rolo” questo non fu più necessario e la Sefta rimase l’unica a gestire l’immobile.

Tratto da: Quando la Bassa Viaggiava in Tram.

Autori: Fabio Casini – Fabio Montella

Edizioni CDL.

 

 

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