La canapa – La canva

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cavallini

Si coltivava per la sua fibra, che veniva utilizzata per la tessitura di tela per lenzuola, asciugamani, per fare li scapinèli, cordami, per avvolgere il burón di vaséi, per fare a scòria, (al früstin per far girar al córlu).

Una biolca di terra era sufficiente per le esigenze di una famiglia anche numerosa e la semina si eseguiva in primavera in terreno fresco e ben concimato. Per la maturazione occorrevano circa cinque mesi. Ai primi d’agosto si tagliava con il falcetto, si puliva il fusto dalle foglie, si formavano mazzi che, diritti, si esponevano al sole per l’essiccazione. Dopo di che si portavano nel màşar del dugale delle Pietre per la macerazione e si faceva la malora con mazzi legati assieme.

Cun al palót si raccoglieva sul fondo dello stagno il pantano con il quale si copriva la masera che affondava completamente sott’acqua. I microrganismi si mettevano all’opera e in una decina di giorni staccavano la fibra dal fusto. Giorno dopo giorno l’acqua diventava verde. In superficie si formavano bolle per la putrefazione con la formazione di una pellicola che impediva l’ossigenazione, costringendo li bucaci (il pescegatto) a gnir a gala per non morire, ma, con il persistere dell’inquinamento non resistevano e si trovavano morte a pànsa in su.                                                  .

Noi ragazzi, salivamo in piedi sulle macere, con pali e, facendo presa sul fondo, le spingevamo in giro per lo stagno, giocavamo ai pirati, lanciando manciate di fango, andavamo all’arrembaggio.                                                      Il gioco era bello fino a quando una voce da lontano minacciava: «Veee, gni şo da dli» (guai se si staccano i mazzi ad la maşara); in un attimo saltavamo giù nell’acqua sporca e puzzolente, di corsa si andava a lavarsi nella vasca del pozzo dove usciva acqua fresca e pulita.

Dopo circa due settimane la canapa veniva lavata dalla melma, si portava a casa, si stendeva al sole per l’essiccazione.

Dopo di che incominciava la lavorazione per ricavarne la fibra: a piccoli mazzi, i fusti si mettevano sul cavalletto e, con un colpo di mazza, si spezzavano. Con la gramula si eliminano i canvìn e per ultimo si passava la fibra al pettine per ottenere al garsol, lungo, sottile, morbido, la parte migliore, adatto alla filatura e quindi alla tessitura. La stoppa corta, ruvida era adatta per farne cordame.

Tratto da: Giochi, lavori, ricordi di un tempo – Autore Ado Lazzarini – Anno 2017 – € 10,00

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