Il segreto di Ulisse – 3° e 4°capitolo

Commenti (1) Il segreto di Ulisse

Capitolo 3

L’ultima campanella suonò e le lezioni del mattino ter­minarono.

«Prof, ha tempo, potrei parlarle un secondo?»

«Certo, Ildebrando, dimmi pure.»

«Non qui, la prego. Potremmo andare in sala pro­fessori?»

Brando era visibilmente agitato, il professore se ne era accorto e aveva accettato di buon grado la richiesta del ragazzo di fare quattro chiacchiere in privato.

Lo riteneva uno studente modello, di quelli che non hanno quasi bisogno di studiare perché sembrano avere una sorta di scienza infusa, di intuizione naturale, di bagaglio genetico del tutto anomalo ma stupefacente. E per questo non riusciva a immaginare la ragione della richiesta: di sicuro il ragazzo non aveva problemi di rendimento scolastico.

«Allora, Ildebrando, che c’è? Dimmi pure senza pro­blemi di cosa hai bisogno.»

«Ecco, prof, lei ieri ha accennato a quel mito citato da Ovidio nelle Metamorfosi, quello del dio Picus o Pico trasformato da Circe in un picchio. Vorrei semplice­mente saperne un po’ di più.»

«Che strana curiosità, Ildebrando. È un mito come un altro, come ce ne sono mille nella letteratura latina e greca. Anzi, è uno dei meno famosi, se proprio vo­gliamo dirlo.»

«Be’, non direi proprio, visto che ne parlano Ovidio,Virgilio, Petrarca, Agostino, Boccaccio e chissà quanti altri!»

«Vedo che ti sei documentato, caspita! Comunque esistono vari aspetti del mito: la faccenda sta più o meno in questi termini, ma tieni presente che esistono mille versioni rielaborate in tempi diversi e ognuna racconta la vicenda a modo suo.

«Secondo alcuni Picus, o Pico, era un’antica divinità italica, figlio di Saturno. Si dice che fosse innamoratis­simo della moglie, la ninfa Canente, così chiamata per l’abilità nel canto, figlia di Giano e Vinilia.

«Picus ebbe la sventura di suscitare l’interesse della maga Circe, della quale, per sua disgrazia, rifiutò le atten­zioni. A causa del diniego, la maga lo trasformò per puni­zione in un picchio rosso. Si dice che per questo motivo il picchio trascorra i suoi giorni “picchiando” appunto con ira il becco sul tronco degli alberi, senza posa. Canente morì di dolore e i due sposi non lasciarono prole.

«Altri sostengono, invece, che Picus, divinità dei cam­pi, sempre compagno di Canente, prole ne avesse lascia­ta. Tant’è che Virgilio lo definisce antenato del re Latino che accolse Enea e la sua gente sulle coste del Lazio.

«Infine, a quanto ne so, Picus compare anche, insieme a Fauno, quale divinità agreste nelle leggende relative a Numa Pompilio e alla moglie di quest’ultimo, la nin­fa Egeria. Il secondo re di Roma, infatti, su consiglio della ninfa, avrebbe prima catturato e poi costretto le due divinità a rivelargli i riti per placare l’ira di Giove e salvare la propria città. L’unico punto in comune tra le varie leggende è quello relativo a Circe: in tutte le versioni Picus rifiuta le profferte d’amore della maga e viene quindi mutato in un picchio per punizione.

«Ti basta, signor Ildebrando Piccinini, illustre studio­so di mitologia?»

«Per il momento direi di sì, prof. Grazie mille e mi scusi se le ho fatto perdere tempo.»

«Figurati, sempre a tua disposizione. E’ raro trovare studenti così interessati ai particolari secondari, quando al solito la maggior parte di essi non è interessata nean­che alla sostanza!»

Con un sorriso e un cenno del capo Brando salutò il professore e si allontanò lentamente, aggiustandosi gli occhiali sul naso, le spalle un po’ curve come sempre, scuotendo la testa e borbottando tra sé.

“Strano davvero questo ragazzo, a volte addirittura mi mette soggezione” pensava il professore, “ma ce ne fossero come lui!”

(1) Scapolare: Abito religioso.

segreto

Capitolo 4

Il chiostro era ormai completamente deserto, le lezioni erano terminate già da un po’ e anche gli ultimi ragazzi, dopo le ennesime chiacchiere, si erano avviati verso le rispettive incombenze.

Aleggiava uno strano silenzio: ci si poteva quasi aspet­tare di vedere gli antichi monaci sfilare sotto i portici ombrosi, il volto coperto dal cappuccio abbassato, le mani intrecciate sotto lo scapolare,(1) la mente volta a Dio e alla preghiera. Il cortiletto interno era inondato di sole e, come al centro di un suggestivo palcoscenico, spiccava il pozzo, di squisita fattura.

Brando lo stava circumnavigando da almeno un quar­to d’ora, osservando ogni particolare, ogni più piccolo dettaglio.

Non fidandosi abbastanza della sua scarsa vista e dei suoi occhiali si era persino portato appresso un’enorme lente di ingrandimento.

«Dunque, è stato costruito, sembra, nel XV secolo, quindi come periodo ci siamo; motivo di foglie angolari e scudi che dovevano recare a bassorilievo gli stemmi gentilizi, sicuramente quelli dei Pico. Tutti abrasi, scal­pellati via, accidenti!»

«Picchio, cosa stai facendo da un’ora intorno a quel pozzo? Hai perso qualcosa? Mi sembri Sherlock Holmes con quella lente di ingrandimento

Chi aveva parlato era Oreste, il bidello della scuola,da un po’ ramazzava le aule con la sua solita esagerata solerzia.

Ora era passato a occuparsi del portico, preoccupato di non lasciare neanche un granello di polvre sulle lastre di marmo sconnesse e corrose dai secoli.

“Oreste,(1) dove hai lasciato Pilade?(2) E perché corri sempre con quella scopa in mano? Ti inseguono le Furie. scusa, me ne ero dimenticato! No, non ti preoccupare, non ho perso niente. Sto solo facendo una ricerca per Storia dell’Arte…”

«Guarda che io non conosco nessuno che si chiama Pilade e caso mai domani mi insegue il preside se questo pavimento non è lustro come dovrebbe! Ehi, guarda, Ildebrando, si è posato un uccello sul pozzo! Che strano,non è uno dei soliti maledetti piccioni che sporcano dappertutto!»

All’esclamazione di Oreste, Brando, che per parlare con il bidello aveva voltato le spalle al pozzo, si girò ruscamente.

«Non ci posso credere» sussurrò tra sé e sé per non farsi sentire, «è un picchio, che mi venga un accidente,è proprio un picchio rosso!»

Il pennuto si era posato sull’arco di ferro battuto che sovrastava il pozzo e reggeva la carrucola: il lungo becc­o puntato verso Brando e lo sguardo fisso in faccia al ragazzo.

Dopo qualche istante di assoluta e totale immobilità, l’uccello picchiettò con vigore sul ferro, più e più volte,interrompendosi solo per tornare a fissare Brando con insistenza e per muovere la testa in modo strano.

Poi, all’improvviso, così come era apparso, volò via, salendo nel cielo azzurro verso il campanile della chiesa.

“Se non ci fosse stato anche Oreste” pensò Brando sbigottito, “giurerei di aver avuto un’allucinazione! Inve­ce era lì davvero su quel benedetto pozzo, picchiettava e mi guardava come per dirmi qualcosa… Sembrava scuotesse la testa in segno di diniego….

«Picchio, hai capito che uccello era? Io non ne ho mai visti di simili. E che strano comportamento, poi! Ti guardava, batteva con il becco sul ferro e faceva cenno di “no” con la testa!»

«Ma no, che non mi guardava, Oreste, sarà stata una tua impressione, dài! Comunque non so che uccello fosse, non me ne intendo di ornitologia. Be’, ora vado a casa. A domani e… salutami Pilade!»

«E dài con ‘sto Pilade, che non so neanche chi sia!» Oreste continuò a borbottare e a ramazzare con zelo e Brando, dopo essersi sottratto alla vista del bidello, si mise a correre sconvolto.

Fu così che una macchina lo investì di striscio mentre attraversava la strada senza prestare troppa attenzione.

Per una frazione di secondo, prima di volare in aria e perdere i sensi, al ragazzo parve che l’automobile fosse assolutamente vuota, priva di conducente.

(1)Oreste: nella mitologia greca, figlio di Agamennone. Uccise la propria ~ madre, Clitennestra, la quale, assieme all’amante, Egisto, aveva ucciso Aga- mennone al ritorno dalla guerra di Troia. Per il matricidio Oreste fu perse- guitato dalle Furie (o Erinni), divinità infernali, simbolo del rimorso.

(2)Pilade: cugino di Oreste, suo proverbiale amico.

One Response to Il segreto di Ulisse – 3° e 4°capitolo

  1. Massimo says:

    Ildebrando, almeno lui rusca

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