Gli “Sgaravelli”.

Commenti (2) Racconti

Dipinto di Aleardo Cavicchioni

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GLI “SGARAVELLI”

Nella “Bas­sa”, sempre per colpa della povertà che attanagliava un sacco di gente, esisteva un mestiere molto strano, praticamente sconosciuto e di cui poco si è parlato, quello dello “spigolatore”.

Era un’attività riservata ai più poveri e consisteva nell’andare a raccogliere ciò che i padroni dell’azienda agricola non avevano visto, o comun­que era sfuggito. Gli spigolatoti (ricordati anche nella famosa poe­sia “La spigolatrice di Sapri”, quella che diceva “eran trecento, eran giovani e forti e sono morti”) cominciavano la loro attività in lu­glio, dopo la mietitura del grano, e andavano fra le stoppie alla ri­cerca delle spighe dimenticate, in aperta concorrenza con gli uc­celli; proseguivano il loro faticoso lavoro in settembre, dopo la raccolta del grano turco, riuscendo sempre a scovare, con l’occhio ben addestrato, qualche pannocchia non vista, qualcuno non tra­scurava nemmeno di passare in mezzo ai frutteti sperando di rac­cogliere qualche mela o qualche pera sfuggita all’attenzione dei raccoglitori.

Infine concludevano i loro lavori dopo la vendemmia, passando sotto i tralci a raccogliere qualche grappolo. Questa fase si chiama­va non più spigolatura bensì “sgaravellare” perché i grappoli tra­scurati erano, in dialetto, gli “sgaravelli”. A questo proposito vor­remmo ricordare una breve filastrocca, assolutamente inedita, dal tono un po’ ironico che ci ha raccontato una vecchia signora. La fi­lastrocca, forse originaria della zona di Concordia o San Possidonio, è in dialetto e ha come protagonisti un’anziana signora e uno sbrigativo agricoltore. Dice la donna: “Vu ch’andaa pr’andar arar, possia andar a sgaravlar?”. Risponde il padrone del vigneto: “Cusa vliv sgaravlar, ch’emm ancora da vindmar”. Replica lei, fingendo di stupirsi: “A m’in fava maravia ad sì bei sgaravia”. Traduzione: la donna chiede: “Voi che state per andare ad arare, posso andare a racimolare?”. Risponde l’uomo: “Cosa volete racimolare che dob­biamo ancora vendemmiare”. Commenta la donna: “Mi facevano un po’ meraviglia tanti bei racimoli”.

Per ottobre non ci sarebbero molte altre cose da dire, tranne forse qualche proverbio “made in Mirandola” e cioè che “In otto­bre il sole del giovedì fa piovere la domenica” e “Chi semna dal bon gran, al magna dal bon pan”.

Nel frattempo, dopo la vendemmia, non appena cominciano a cadere i pampini, qualche agricoltore inizia a potare la vite e le piante da frutto. Da questo fatto un altro proverbio, tratto dal “Barnardon” mirandolese: “Fammi povera – dice la vite – se vuoi che ti faccia ricco” e cioè pota con giudizio e sarò ricca di bei grappoli”.

Giuseppe Morselli

Tratto da: Antiche tradizioni Mirandolane

Edizioni Bozzoli

Anno 2006

GLI “SGARAVELLI”

Nella “Bas­sa”, sempre per colpa della povertà che attanagliava un sacco di gente, esisteva un mestiere molto strano, praticamente sconosciuto e di cui poco si è parlato, quello dello “spigolatore”.

Era un’attività riservata ai più poveri e consisteva nell’andare a raccogliere ciò che i padroni dell’azienda agricola non avevano visto, o comun­que era sfuggito. Gli spigolatoti (ricordati anche nella famosa poe­sia “La spigolatrice di Sapri”, quella che diceva “eran trecento, eran giovani e forti e sono morti”) cominciavano la loro attività in lu­glio, dopo la mietitura del grano, e andavano fra le stoppie alla ri­cerca delle spighe dimenticate, in aperta concorrenza con gli uc­celli; proseguivano il loro faticoso lavoro in settembre, dopo la raccolta del grano turco, riuscendo sempre a scovare, con l’occhio ben addestrato, qualche pannocchia non vista, qualcuno non tra­scurava nemmeno di passare in mezzo ai frutteti sperando di rac­cogliere qualche mela o qualche pera sfuggita all’attenzione dei raccoglitori.

Infine concludevano i loro lavori dopo la vendemmia, passando sotto i tralci a raccogliere qualche grappolo. Questa fase si chiama­va non più spigolatura bensì “sgaravellare” perché i grappoli tra­scurati erano, in dialetto, gli “sgaravelli”. A questo proposito vor­remmo ricordare una breve filastrocca, assolutamente inedita, dal tono un po’ ironico che ci ha raccontato una vecchia signora. La fi­lastrocca, forse originaria della zona di Concordia o San Possidonio, è in dialetto e ha come protagonisti un’anziana signora e uno sbrigativo agricoltore. Dice la donna: “Vu ch’andaa pr’andar arar, possia andar a sgaravlar?”. Risponde il padrone del vigneto: “Cusa vliv sgaravlar, ch’emm ancora da vindmar”. Replica lei, fingendo di stupirsi: “A m’in fava maravia ad sì bei sgaravia”. Traduzione: la donna chiede: “Voi che state per andare ad arare, posso andare a racimolare?”. Risponde l’uomo: “Cosa volete racimolare che dob­biamo ancora vendemmiare”. Commenta la donna: “Mi facevano un po’ meraviglia tanti bei racimoli”.

Per ottobre non ci sarebbero molte altre cose da dire, tranne forse qualche proverbio “made in Mirandola” e cioè che “In otto­bre il sole del giovedì fa piovere la domenica” e “Chi semna dal bon gran, al magna dal bon pan”.

Nel frattempo, dopo la vendemmia, non appena cominciano a cadere i pampini, qualche agricoltore inizia a potare la vite e le piante da frutto. Da questo fatto un altro proverbio, tratto dal “Barnardon” mirandolese: “Fammi povera – dice la vite – se vuoi che ti faccia ricco” e cioè pota con giudizio e sarò ricca di bei grappoli”.

Giuseppe Morselli

Tratto da: Antiche tradizioni Mirandolane

Edizioni Bozzoli

Anno 2006

2 Responses to Gli “Sgaravelli”.

  1. Jole Ribaldi says:

    Siete colti e contemporaneamente spassosi.
    Fantastici! Se non ci foste voi, come potremmo mantenere la memoria del passato?
    Meritereste un premio grandissimo!
    Grazie di tutto quello che raccontate.
    Vorrei avere più memoria!
    Grazie di vero cuore.

  2. libero montagna says:

    C’era anche il mestiere di “andar a far foia”,spero di avere scritto bene.Traducendo,significare andare a pulire i rami degli alberi(non ricordo quali)da dare alle vacche,perche avrebbero fatto un latte più ricco,ma anche ai conigli,assieme ai rami,soprattutto dei pioppi.A giugno dopo la mietitura ,le rane uscivano per mangiare il grano che rimaneva per terra e c’era la cattura con i fanali ad acetilene(carburo),che erano anche usati sui trattori per l’aratura notturna,l’acetilene accesa,produceva una fiamma con una luce bianchissima,accecante.Era un dispositivo pericoloso(io ne ho ancora due).I blocchi di acetilene(sembrava gesso)si acquistava dal negozio di Rebecchi.Se i beccucci del fanale non erano puliti,il gas che si sprigionava con la caduta del”carburo”nel serbatoio di acqua,il fanale diventava una bomba.

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