Giovanni Pico – L’addio del Magnifico

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Fu un grande poeta come Poliziano a raccontare come morì Lorenzo il Magnifico. Nel suo racconto si parla an­che di Pico perché Lorenzo, Poliziano e Pico, nonostante le diverse età, furono grandi amici.

Era l’8 aprile del 1492. Il Magnifico aveva 44 anni, ma era insidiato dalla gotta, il male che uccise anzi­tempo tutti i Medici. Pico ne aveva 29. Lorenzo era moribondo nella sua villa di Careggi, alla periferia di Firenze. Lo assisteva Poliziano che così racconta: “(…) Appena egli mi vide (…) mi chiede che faccia il Pico della Mirandola, Gli rispondo ch’egli era rima­sto in Città perché temeva di essergli molesto colla sua presenza. E io, disse allora Lorenzo, se non te­messi che questo viaggio gli fosse di noja bramerei pur di vederlo, e di parlargli per l’ultima volta prima di abbandonarvi. Debbo dunque, gli dissi, farlo chiamare? Sì, certo, rispose, e il più presto che sia possibile. Così fece; e già era venuto il Pico, e si era posto a seder presso il letto. E io ancora mi ero ap­poggiato presso alle sue ginocchia per udir meglio per l’ultima volta la già languida voce del mio Pa­drone. Con qual bontà, Dio buono con qual corte­sia, dirò ancora, con quali carezze lo accolse Loren­zo! Gli chiese prima perdono di avergli recato un ta­le incomodo, lo pregò a riceverlo come contrassegno dell’amicizia e dell’amore che aveva per lui; egli dis­se che moriva più volentieri dopo aver riveduto un sì caro amico. Quindi introdusse, come soleva, discorsi piacevoli e famigliati, e scherzando ancora con noi, vorrei, disse, che la morte avesse almeno indugiato finché avessi del tutto compita la vostra Biblioteca. Era appena partito il Pico, quando entrò nella stan­za Fra Girolamo da Ferrara (Savonarola)….”

A dimostrare l’attaccamento del Magnifico per Pico leggiamo anche la lettera che egli scrisse nel 1489 a Giovanni Lanfredini, ambasciatore a Roma della Repubblica fiorentina, perché reclamasse presso la Curia l’assoluzione dell’amico giudicato eretico per le note Tesi:

“Ho inteso con grandissima mia molestia il carico (peso) che si dà a quest’opera del Mirandola (le novecento Tesi) e se io non fussi certo che questa persecuzione proceda (nasca) da invidia e da malignità per mia fé non ne parlerei. Qui è sta­ta veduta questa opera da quanti religiosi dotti ci sono» e uomini di buona fama e di santa vita, e da tutti è sommamente approvata (ritenuta) per cristia­na e cosa meravigliosa; né io sono però sì cattivo cri­stiano che quando ne credessi altro (se pensassi di­versamente) me lo tacessi e sopportassilo (lo tacerei e sopporterei). Sono però certo, se costui (che se Pico) dicesse il Credo, cotesti spiriti maligni direbbero che fussi (è) una eresia. Se pure Nostro Signore (il Papa) fussi di qualità che potessi intendere questa verità e non avessi molte altre occupazioni, sono certo che presto queste cose morrebbero e la verità ne verrebbe ad luce; ma bisogna ne creda ad altri (è costretto a credere ad altri) e questo povero uomo (Pico) non si ne può difendere perché come mostra le ragioni sue, dicono che sono contro Nostro Signore. Se avessi a contender con loro (se potesse confron­tarsi con loro) levatone l’autorità del Papa (senza il pretesto dell’autorità del Papa) sono certo gli farebbe stare cheti (che li azzittirebbe presto). Ma la sua è gran disgrazia che a stare a giudizio (dover subire il giudizio) d’ignoranti e maligni che hanno per scudo il Papa.

Altre volte v’ho detto che dubito non sia fat­ta questa cosa (sospetto che ciò sia fatto) per despe­rare al tutto costui (per portare Pico alla disperazio­ne) e per metterlo in qualche strana fantasia (per fargli venire la tentazione) che col tempo abbia a tor­nare contro Nostro Signore (di mettersi contro il Pa­pa) perché credete costui è istrumento di sapere fare il bene e il male. La vita e modi suoi mostrano bene (sono per il bene), ma se la forza gli farà piglia­re altra via, io ci perderò poco perché in ogni luogo dove andrà so che mi vorrà bene perché ne voglio as­sai a lui. Io non vi ho mai potuto mettere in testa que­sta cosa, e senza darvi più innanzi (senza più insiste­re), ché non posso, costui è stato tentato di cosa che potrebbe essere di gran scandalo, e io ne l’ho sempre levato (anche se io gliel’ho finora impedito). E ultimamente s’è ridotto a vivere qui santamente e con buoni costumi e quietare (rasserenando) l’animo suo. Cotesti diavoli con queste persecuzioni lo tentano e sono trop­po creduti. Infine io non potrò fare altro che dolerme­ne confortandovi (spronandovi) di nuovo a mettere in questa cosa tutto lo impegno vostro perché pigli mi­gliore forma, che non potresti mai stimare quanto questa cosa m’è molesta e che passione mi dà; sono certo se ne sapessi una parte non resteresti mai tanto che mi si levassi (faresti di tutto per liberarmene) ”,

Tratto da: Quei due Pico della Mirandola – Giovanni e Gianfrancesco.

Autore: Jader Jacobelli

Casa Editrice Laterza – Anno 1993

Giorgio Vasari, Ritratto di Lorenzo il Magnifico, 1534, olio su tavola, Firenze, Galleria degli Uffizi.

 

 

 

 

 

 

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