Don Zeno – Che fosse Gesù?

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Quella mattina dell’estate 1936, anno quattordicesimo dell’era fascista, don Zeno Saltini, giovane cappellano della parroc­chia di San Giacomo Roncole, nella Bassa modenese, si era svegliato di buon umore, anche se i pensieri erano tanti e tutti difficili da affrontare. Ma certamente non pensava che durante quel giorno sarebbe stato il testimone di un avvenimento prodigioso, quasi mira­coloso, uno di quegli episodi che restano scolpiti nella memoria.

Don Zeno aveva celebrato la messa nella chiesa dedicata ai santi Filippo e Giacomo, assistito dal parroco titolare don Archimede Gatti e dal “campanaro”, poi aveva fatto una rapida e frugale colazione, un po’ di caffelatte in cui amava inzuppare, quando ne restava un po’ dalla cena dei suoi “figli”, qualche pezzo di pane raffermo. Poi si era fermato un po’ sul sagrato della chiesa pensando a tutte le cose da fa­re durante la sua turbinosa giornata.

La giornata era limpida, serena, come lo sono, dopo un vivace temporale notturno, quei giorni della Bassa modenese in cui il cielo sembra quasi tutto azzurro; e se uno aguzza la vista, si possono scor­gere a sud i profili degli Appennini, con il tondeggiante rilievo del monte Cimone, e a nord le montagne che circondano il lago di Gar­da, con il monte Baldo che si eleva al di sopra delle altre cime. E don Zeno, per qualche momento, si era distratto a guardare quel cielo che assomigliava stranamente al manto azzurro della Madonna che teneva nel refettorio parrocchiale e le cime dei pioppi che una leggera brez­za faceva dolcemente vibrare. E non aveva mancato di rivolgere un pensiero a Dio che aveva dato agli uomini spettacoli di tale dolcezza.

Ma dopo qualche minuto era giunto, impietoso, il fido “Barile’ a richiamarlo alla realtà, al programma delle cose da fare. Ma chi era questo “Barile” che ogni mattina accompagnava don Zeno in biciclet­ta per brevi ma sfibranti avventure?

Dovete sapere che don Zeno Saltini, proprio il giorno in cui era stato ordinato sacerdote nel fasto del duomo di Carpi, esattamente il 6 gennaio 1931, aveva subito cominciato ad andare un po’ controcor­rente: invece di abbracciare i fratelli, i parenti e gli amici più stretti, era sceso dall’altare in mezzo ai fedeli e aveva abbracciato un ragazzo orfano dei genitori, un certo “Barile”, un discolo già noto ai Carabinie­ri del luogo come autore di piccoli furti e di qualche truffetta da quat­tro soldi. Ma don Zeno, per quel povero orfanello che viveva di espe­dienti, aveva cominciato a nutrire una certa simpatia cristiana, frutto di una innata generosità e di una grande solidarietà per i poveri ragazzi abbandonati.

E quando alcuni anni dopo era stato nominato dal Vescovo vice parroco a San Giacomo Roncole, nei pressi della Mirandola, la sua idea di raccogliere e assistere i fanciulli abbandonati aveva preso cor­po in modo davvero consistente. Infatti, con l’approvazione molto preoccupata del suo parroco, don Zeno aveva in poco tempo raccol­to una cinquantina di orfani, chiamandoli “Piccoli Apostoli”, una co­munità che cresceva ogni giorno. Ma cinquanta ragazzi mangiano ogni giorno, hanno sempre fame, e il problema quotidiano del nostro don Zeno era sempre quello di procurare per loro un po’ di cibo, ol­tre a quello di reperire un po’ ovunque vestiti, indumenti vari, scarpe, lenzuola, coperte e così via. Ma il primo ad essere chiamato fra i “Pic­coli Apostoli” era stato proprio “Barile”, il ragazzo carpigiano di non eccessiva statura e di corporatura decisamente robusta, da cui il nome di “Barile”.

E quindi ogni mattina don Zeno e “Barile” partivano in bicicletta per le strade e i sentieri del Mirandolese e dintorni alla ricerca affan­nosa di pane, polenta, farina, scarpe usate e vestiti non necessaria­mente nuovi. Don Zeno procedeva sulle strade polverose su una sua vecchia bicicletta, mentre “Barile” sudava copiosamente sui pedali di un velocipede ancora più vecchio e arrugginito, trascinando con una corda un carrettino dentro al quale venivano collocate le offerte della povera gente. La gente chiamava questa strana coppia con il pittoresco nome de “La carovana del Tigrai”, il titolo di un film che parlava della guerra d’Africa.

Perché don Zeno – è giusto ricordarlo – aveva anche portato nella misera parrocchia di San Giacomo un vecchio proiettore di film, che comunque faceva accorrere di sera centinaia di persone nella sede dei “Piccoli Apostoli”. La proiezione era sempre ad offerta libera.

“La serata” diceva don Zeno “è fatta a favore dell’asilo, chi ha qual­che soldo lo offra, chi non ne ha venga lo stesso a divertirsi. Se voi poveri non avete soldi, ditelo liberamente al cappellano, il quale non se ne farà caso, essendo anche lui spessissimo in bolletta. Io vi darò i biglietti uguali a quelli di coloro che pagano, e invece di ringraziare il vostro sacerdote, ringraziate Gesù del quale egli è ministro”.

E così anche quella mattina di giugno don Zeno e “Barile” partono dalla parrocchia di San Giacomo Roncole in cerca di qualcosa di utile: a loro va bene tutto, pane, latte, vestiti vecchi, farina, legna, fascine, frutta, polenta, lenzuola, coperte. “La carità è come la Provvidenza, non ha limiti, e chi più ha, più dia, il Signore saprà dare al momento giusto la giusta ricompensa”. E quasi fino al tramonto non si torna a casa, dopo una visita accurata a tutte le case, soprattutto a quelle dei signori, dei contadini e dei bottegai. E qualche volta don Zeno si la­scia sfuggire un rischioso “passerò poi io a pagare”.

Ma le bocche da sfamare sono tante e gli appetiti sono così ga­gliardi che molto spesso il contenuto del carrettino non basta; e a se­ra si fa un rapido inventario di ciò che è stato racimolato, si prega, si mangia quello che c’è, si guarda un film e poi si va a letto, con un gran caldo d’estate e un freddo cane d’inverno. E poi succede spesso che il momento della cena dei “Piccoli Apostoli” sia anche rallegrato dai ragazzi delle famiglie più povere del paese che, mal che vada, tro­vano qualcosa da mangiare da don Zeno, mentre a casa loro un piat­to di minestra spesso non c’è.

Non solo, ma le povere tavole allestite da don Zeno e da qualche signora che gli dava una mano erano anche aperte ai mendicanti di passaggio e i figli adottivi del cappellano sapevano benissimo che, quando capitava, ciascuno di loro doveva privarsi di qualcosa per of­frirlo alle persone ancora più sfortunate di loro.

E anche quel giorno don Zeno e il fido inseparabile “Barile” erano andati in giro per le campagne e, quasi per miracolo, il carrettino del povero “Barile”, verso le undici, era già colmo di cose utili. Una vedo­va di Cavezzo era andata a spigolare il grano qualche giorno prima della mietitura e, sentendosi in colpa, aveva offerto a don Zeno un mezzo sacco di frumento. Un oste di Cavezzo, un certo Silviano, ave­va regalato a don Zeno una damigiana di vino, non era certo cham­pagne, ma andava bene lo stesso. Insomma, i due ritennero giusto rientrare in parrocchia prima di mezzogiorno, tanto il mangiare per quel giorno era praticamente assicurato. Don Zeno ringraziava il Si­gnore, pedalando con buona lena, mentre “Barile” pregava affinché quei chilometri di strada polverosa finissero in fretta.

Finalmente giunsero in parrocchia e mentre si lavava la faccia e le mani, per andare a tavola con i suoi numerosi figli adottivi, don Zeno pensava che quella era stata davvero una giornata propizia. “Grazie, Gesù”, pensò, “grazie per avere pensato ancora una volta a questi tuoi figli”. Ma le sorprese di quel giorno non erano finite: infatti, come si è detto, alla grande modesta tavolata di San Giacomo non manca­vano quasi mai i mendicanti che passavano sulla strada statale dell’Abetone e del Brennero, già asfaltata anche allora, e che sostavano a San Giacomo sicuri di trovare qualcosa da mangiare.

Don Zeno, oltre ai suoi figli, amava anche quei forestieri, li mette­va a tavola accanto ai suoi rumorosi ragazzi, ma nei primi posti, vici­no a lui. Conversavano con il sacerdote e con i suoi figli e questi po­veri viandanti erano sempre meravigliati dell’atmosfera di gioiosa cor­dialità che si respirava nel refettorio. Apparivano lieti e riconoscenti, perché capivano che questo loro modesto pranzo non era frutto di pietà o di elemosina, ma era un pranzo fra amici. Raccontavano tante cose e avevano – come intuiva don Zeno – quasi tutti sul volto l’e­spressione di una piccola intima rinascita di se stessi.

Ma quel giorno d’estate era destinato ad essere straordinario, testi­mone di una vicenda a metà strada fra la favola e il miracolo. Una storia che fu ricordata a lungo da don Zeno Saltini e dai suoi tanti fi­gli adottivi. Un avvenimento che l’autore di questo racconto ascoltò, parecchi anni dopo, dalla stessa viva voce del sacerdote di San Giaco­mo Roncole.

“Un giorno” raccontava il prete modenese “entrò a pranzo con noi un uomo di circa trent’anni. Un bell’uomo, ma dal volto molto soffe­rente. Aveva un lungo bastone come quello dei pastori, una bisaccia a tracolla, un vestito molto dimesso, due occhi vivissimi, una folta barba nera nera. Io ero capotavola e il nostro ospite si mise a sedere a tavo­la alla mia destra. Mangiava con evidente fame, ma ogni tanto lascia­va il cucchiaio immerso nella minestra con il manico sull’orlo del piat­to. Poi batteva il pugno destro, leggermente, sul tavolo con gesto di meraviglia, guardando fisso negli occhi me e i miei figli senza proferi­re parola. E poi riprendeva a mangiare. Finito di consumare la mine­stra, gli offrimmo un altro piatto: mangiò anche quello, sempre ripe­tendo di quando in quando il gesto di questa sua strana e dolce me­raviglia. Tutti noi si taceva come se si assistesse ad un mistero”.

“Quell’uomo” amava ripetere don Zeno “con la sua espressione, “dominava l’aria”. Consumato il secondo piatto, si alzò, prese il suo bastone, che aveva appoggiato alla parete accanto alla bisaccia, si mi­se la bisaccia stessa a tracolla e si avviò energicamente verso l’uscita della nostra umile saletta da pranzo, la quale immetteva sulla strada. Alla porta, prima di uscire, si volta indietro, ci guarda tutti con occhi scintillanti di riconoscenza. E poi esclama: “Io vi dico che se farete sempre così salverete il mondo”. E se ne andò, allontanandosi sulla strada. Ci guardammo in faccia fra di noi, ancora silenziosi e impres­sionati. Poi alcuni ragazzi interruppero il silenzio, domandando a me e agli altri: ma che sia Gesù? Una domanda senza risposta, ma una domanda piena di mistero”.

“Che fosse Gesù in persona” concludeva attonito il buon don Zeno “come lo videro i primi apostoli, io non lo so, ma è un fatto che quel­l’uomo rappresentava il Cristo fino al verosimile quanto all’aspetto e all’espressione così profonda, così vera, così commovente anche al solo ripensarci. Ma che sia vera la sua affermazione, che facendo così si salvava il mondo, è Vangelo”.

E don Zeno, alcune settimane dopo, volle raccontare le stesse me­ravigliose vicende al suo Vescovo, monsignor Giovanni Pranzini. E il Vescovo gli disse: “Caro don Zeno, in questo mondo vi sono casi che non sono casi”.

Che fosse davvero Gesù?

Giuseppe Morselli

Tratto da: Racconti Mirandolani

Autore: Giuseppe Morselli

Edizioni Bozzoli – Anno 1999

Il dipinto è del mirandolese Aleardo Cavicchioni

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