Concordia e il baco da seta

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Gli antichi mulini, la curiosa filastrocca, il famoso Conte e…

Concordia, che sorse intorno al 1300 sul nuovo e attuale corso del fiume Secchia, è nota soprattutto per i numerosi antichi mulini natanti sul Secchia attivi per circa 6 secoli dal 1300 alla fine del 1800 e per una filastrocca dialettale del secolo scorso di autore ignoto, recentemente utilizzata come motto da un noto ristorante locale, che recita così:

“lì galìni ad la Cuncordia li ga ligà li gambi cun li curdéli ròsi”.

Concordia è nota anche per aver legato il suo nome al più famoso dei Pico cioè Giovanni Pico della Mirandola (1463-1494) conte della Concordia come ci ricordano il noto gior­nalista televisivo Jader Jacobelli a pag. 34 del suo libro “Pico della Mirandola , Longa­nesi, 1986 e Sergio Poletti nel suo saggio “Del modo tenuto da Cristoforo e Martino da Casalmaggiore nel sopprimere Giovanni Pico della Mirandola , Redolfi, 1987.

Ma lo scopo della presente nota è quello di parlare di un aspetto importante e non molto conosciuto di Concordia riguardante l’allevamento del baco da seta (“cavaler “), che se pur allevato fin dal 1306 a Modena e diffusosi successivamente in tutta la Pianura Pada­na acquistò per Concordia grande importanza e notorietà solo nel 1600 e 1700 sia per la produzione e mercato dei bozzoli (“galèti”) che per la lavorazione della seta, identifi­cato in un sistema di filatura detto “alla concordiese”.

È appena il caso di ricordare che il baco da seta è un farfalla notturna classificata con il nome scientifico di Bombyx Mori, bombice del gelso, che produce delle piccolissime uova (il così detto “seme bachi”). Da ogni uovo nasce poi una larva che nutrendosi delle foglie dei gelsi (detti anche mori come gli omonimi dolci frutti che producono) e “filan­do” un’unica bavella lunga fino a 1500 metri dà luogo ad un bozzolo nel quale si racchiu­de trasformandosi in crisalide e poi in farfalla.

Successivamente i bozzoli vengono messi in acqua bollente per uccidere la crisalide evi­tando il formarsi della farfalla e per ottenere la seta grezza con una serie di operazioni denominate “trattura della seta”. Circa l’allevamento del baco da seta, oggi, e il caso di ricordare che nel Veneto (dove tale allevamento non ha mai cessato di esistere), in Lom­bardia e, recentemente in Piemonte, la nuova gelsibachicoltura è in fase di lancio per ini­ziativa rispettivamente della Associazione Nazionale Bachicoltori di Treviso e dell’Università di Padova, della Fondazione del gruppo Serico Ratti di Como, della Confagricoltura regionale piemontese.                              Per le iniziative in atto e allo studio in Emilia Romagna soprattutto da parte dei centri agricoli IRFATA, della Coldiretti di Bologna e Modena, rimandiamo all’ultima parte del­la presente nota.

… La bachicoltura e la filatura della seta a Concordia dal 1600 al 1700

Riportiamo una nota di Enzo Ghidoni sull’argomento pubblicata sul N° 1, Marzo 1987, ilei trimestrale della Parrocchia di Concordia IL PONTE .

“Un settore produttivo assai importante a Concordia in epoca antica era la produzione e la lavorazione dei bozzoli di bachi da seta. L’abbondanza e la buona qualità del prodotto concordiese avevano reso famoso il nostro centro in gran parte dell’area padana.

Durante il 1600 e il 1700. a partire dai primi giorni di giugno e per tutto il mese, si teneva a Concordia, sotto i portici, il cosiddetto mercato del Pavaglione, dove i produttori di bozzoli vendevano ai commercianti e artigiani locali e forestieri il loro prodotto.

La bachicoltura perciò era una dei fattori principali per il riequilibrio degli scambi commerciali del nostro paese. Come si è detto l’abbondanza del prodotto stimolò le capacità imprenditoriali di alcuni concordiesi che non si limitarono più a vendere o commerciare il prodotto grezzo, ma allargarono il ciclo produttivo impiantando una serie di bollitore o “caldiere”, dove i bozzoli venivano trattati e, successivamente, di filatoi meccanici e a mano, ma anche un importante filatoio ad acqua. Probabilmente il mulino del “Follo”, dove si produce­vano pannilana, con la decadenza di questa arte, venne riconvertito, sfruttando sempre la forza idraulica del Secchia, a produzione di filati di seta. Il processo produttivo ebbe tanta importanza che il sistema di filatura detto alla “Concordiese” venne adottato da gran parte dei produttori circonvicini arrivando ad estendersi oltre Modena, sino alla mon­tagna. C’è da dire, per vero, che questo sistema di filatura, basato sulla ritorsione di un solo filo, produceva un filato abbastanza grezzo e di bassa qualità, ma ebbe, nonostante ciò, larga notorietà e importanza per tutto il 1600. Durante il 1700 invece, con il progre­dire della tecnica, soprattutto bolognese, che impiegando la ritorsione di due fili riusciva a dare un prodotto molto più robusto e fine, il sistema “Concordiese” ridusse fortemente la sua influenza, tanto da estinguersi alla fine del secolo”.

La bachicoltura a Concordia dal 1800 al 1940

Finita l’epoca d’oro delle attività locali legate alla lavorazione della seta “alla Concordie­se”, non cessa però l’allevamento del baco da seta anche se detta attività viene limitata alla produzione e vendita dei bozzoli nei mercati di Concordia e di Mirandola come testi­moniano alcuni anziani di Concordia che ricordano come nel 1916 portassero al mercato i bozzoli puliti e ben sistemati nelle ceste di vimini.

Uno degli ultimi allevamenti di bachi non è stato portato a termine nel 1940 a causa del richiamo alle armi dell’interessato.

La bachicoltura veniva realizzata nelle case di campagna, spesso nelle cucine, utilizzando le foglie del gelso che era molto coltivato sia in filari che sparso. A detta attività si dedica­vano soprattutto le donne. L’allevamento dei bachi cessa quindi nelle nostre zone con l’i­nizio della 2a Guerra Mondiale, anche se qualche allevamento didattico viene fatto in scuole elementari fino agli anni ’60.

Che cosa è rimasto della vecchia bachicoltura locale

Mentre degli antichi Mulini Natanti vi sono documenti, antiche mappe, pubblicazioni e importanti testimonianze come una ventina di pali di rovere (“gùcì”) in Secchia del Mu­lino di Sotto o delle Decime del 1743, e il modello del Mulino del Porto del 1907, al conte di Concordia cioè a Pico della Mirandola sono stati giustamente dedicati tanti studi e pubblicazioni e memorabili convegni, della plurisecolare bachicoltura concordiese non è rimasto praticamente niente anche perchè è stata trascurata dagli studiosi di storia locale. Comunque è ancora vivo il ricordo di detta attività nel permanere, nell’onomastica con­cordiese, di alcuni soprannomi legati ad una attrezzatura caratteristica del processo pro­duttivo denominata “castello”, “scalerà” o “barighèl”. Era una specie di scaffale di legno a più piani sui cui ripiani con fondo di arelle, si ponevano i bachi. Infatti la famiglia Gamberini di San Giovanni, che soleva finanziare gli allevatori, è soprannominata ‘ ‘Bari- ghèl” come pure la curva dove abita. Il toponimo Barighella di Santa Caterina che da il nome all’omonima via potrebbe derivare dalla presenza in loco di molti “Barighèl” cioè molti allevamenti di bachi da seta.

Anche se a Concordia non è rimasto niente, nel vicino Mantovano sono riusciti a conser­vare attrezzature e macchine prodotti artigianalmente sia per l’allevamento del baco che per la lavorazione della seta grezza come si è potuto vedere in una interessante mostra del 1987 allestita dal Comitato Sagra a Bondanello di Moglia (Mantova) intitolata: “L’al­levamento del baco da seta: dal baco al tessuto”; con materiali originali del ’600, ’700 e ‘800 messi a disposizione da Adele Bozzoli del Circolo ANSPI di S. Martino all’Argine (Mantova).

È possibile anche a Concordia e nella Bassa la nuova gelsibachicoltura?

Le esperienze più interessanti della moderna gelsibachicoltura si stanno attuando nel Bo­lognese: a Minerbio da parte di una Cooperativa giovanile; nell’Appenino e nella pianura per opera del Centro Professionale Agricolo IRFATA della “Coldiretti” di Bologna in collaborazione con l’Associazione Nazionale Bachicoltori di Treviso.

Per iniziativa dell’IRFATA bolognese sono stati impiantati 4 moderni gelseti ad alta den­sità e bassa taglia, come per i moderni frutteti, ciascuno di circa 2000 piante (uno dei quali a Bologna, nella campagna antistante lo stabilimento de “Il Resto del Carlino”). Da due anni inoltre sono in atto alcuni allevamenti di bachi da seta con l’impiego di mo­derne tecnologie che consentono un notevole risparmio di mano d’opera sia che si usino adatte strutture prefabbricate tipo serre che vecchie stalle o magazzini.

Una dettagliata relazione della interessante esperienza di gelsibachicoltura dell’IRFATA di Bologna è riportata sul mensile della Regione Emilia Romagna “AGRICOLTURA” n. 11/1988 a firma di Claudio Campagni. Per gli interessati segnaliamo inoltre i manuali pratici: Dino De Bastiani “Il Baco da seta” come si alleva, Edizioni Reda, Roma. 1986; Reali – Meneghini – Trevisin “Bachicoltura moderna”, Edagricole, Bologna, 1987. Per la nostra provincia sono in programma iniziative simili da parte dell’Istituto Profes­sionale di Stato per l’agricoltura “L. Spallanzani” di Castelfranco E. (che ha una sede anche a Pavignane di S. Felice s/P.) e dell’IRFATA di Modena tramite la sua sede di Camposanto, soprattutto per l’appenino Modenese.

E per Concordia e la Bassa Modenese?

Visto il successo della mostra “Il baco da seta ieri e oggi” organizzata a Concordia dal Circolo ANSPI nel corso della fiera di giugno dei SS. Pietro e Paolo 1988 con i materiali della mostra di Bondanello arricchita da pubblicazioni attuali e da capi in seta del 1700 ricamati a mano, messi a disposizione dal dott. Carlo Contini presidente del Museo delle Arti e Tradizioni popolari di Carpi, e con la possibilità di usufruire dèi contributi della legge della Comunità Europea 797/85, perchè non tentare anche localmente l’introduzio­ne di gelseti e allevamenti sperimentali di bachi da seta, magari da abbinare ad altre attivi­tà stagionali come ad esempio la coltivazione dei funghi, piante da appartamento, fiori, asparago, ecc.?

Inoltre il recente forte aumento del prezzo della seta greggia cinese di cui l’Italia è la maggior importatrice e trasformatrice nel mondo (tramite il polo serico di Como) l’alle­vamento del baco da seta potrebbe diventare molto più redditizio!

Infine, per un certo fascino che l’allevamento dei bachi facilmente suscita per chi vi si dedica, tale attività potrebbe rivelarsi interessante sia socialmente che economicamente nelle comunità di lavoro per l’integrazione degli handicappati e il recupero dei tossicodi­pendenti e dei detenuti.

Chissà dunque che dopo circa 50 anni di interruzione non possa riprendere a Concordia e nella Bassa Modenese, l’allevamento del baco da seta cioè un’attività locale plurisecola­re nata, come si racconta, quasi casualmente in Cina circa 4600 anni fa quando l’Impera­trice Si-King-Ki lasciando per caso cadere un bozzolo nell’acqua calda si accorse che la matassa era fatta di un solo filo che poteva essere sciolto e quindi filato.

Disma Mantovani

Edizione: Soc. La Sgambada – Anno 1990

paolo@architettoartioli.it_20190404_105322_001baco_seta


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