Chi la fa l’aspetti !

Commenti (0) Mirandola raccontata da Vanni Chierici

Ottobre 1533, Galeotto II Pico assassina lo zio e Signore della Mirandola Gianfrancesco II Pico per impossessarsi della Signoria.

L’imperatore del Sacro Romano Impero, vero padrone del feudo, lo condanna a morte e lo dichiara decaduto dalla carica confiscandogli tutti i beni, però è lontano e distratto da guerre e non se ne fa niente.

Galeotto, che dispone di un esercito del piffero, pensa di mettersi al sicuro alleandosi con la Francia in contrasto con l’impero. Il possente torrione, le mura, il fossato e la guarnigione francese lo fanno sentire al sicuro, ma lui per primo dovrebbe sapere che quella è l’epoca degli inganni, dei voltafaccia e dei tradimenti.

Non tutti i mirandolesi sono contenti di Galeotto ed alcuni anzi sono particolarmente restii ad accettarlo, a meno che non dispongano di un’accetta tra le mani. In particolare un gruppo di amici decide di passare alle vie di fatto. Se la storia non finisse come finisce li si potrebbe chiamare “La banda degli idioti” o “La banda degli sfigati”.

Nel gennaio del 1539, dopo essersi riempiti di coraggio liquido in un’osteria ed essersi caricati a vicenda con critiche e accuse e denunce rivolte al loro Signore Galeotto, si ritrovano in una saletta appartata del castello per contarsi e decidere se passare all’azione.

Galeotto II Pico

Galeotto II Pico

Soldati Francesi - 1544

Soldati Francesi – 1544

Sono i fratelli Bernardo e Giulio Bernardi, messer Giovanni da Quistello, Poltadio Magnani, Battista Pelizza, il Perusino, Giulio Teburo e Francesco Marangone; otto individui appartenenti alla nobiltà mirandolese che ha tempo libero da dedicare alla politica ed alle congiure. Minga cmè i cuntadin che i gh’han sol al temp ad laurar.

Parlottano tra di loro sottovoce,si contano, fanno progetti, si contano, s’incoraggiano l’un l’altro, si contano, decidono di uccidere il tiranno (è sempre un tiranno – N.d.A.) la sera di S. Sebastiano, il 20 di gennaio, si contano … alla fine giungono alla conclusione che sono in pochi, devono trovare altri congiurati.

Giulio Bernardi chiama l’amico Vincenzo d’Amadino che si porta dietro l’amico Alessandro da Bologna. Gli chiede se ha voglia di uccidere qualcuno in compagnia. Vincenzo dapprima accetta con entusiasmo, ma venuto a sapere che si tratta di Galeotto rifiuta decisamente (ci piace pensare che fosse sdegnato, ma è più probabile che se la sia fatta sotto). Giulio allora lo accompagna fuori e guardandolo dritto negli occhi gli fa giurare che manterrà il segreto. Vincenzo incrocia i due indici e giura baciandoli. Rassicurato, Giulio rientra e con i complici progetta un piano.

Il Perusino, Alessandro, Giulio Teburo e Francesco si sarebbero occupati della porta del castello.

Alle tre di notte avrebbero gettato nel fossato il vecchio sergente e i due giovani ed inesperti soldati che vi facevano la guardia. Al grido di “ Imperio, imperio!” avrebbero dato il segnale di via libera ed avrebbero impedito l’accesso ad eventuali soccorritori.

Il Magnani, Giulio Bernardi ed il Pelizza sarebbero rimasti di guardia all’entrata del palazzo.

Bernardo e Giovanni da Quistello avrebbero fatto irruzione nella sala armati di pugnali bolognesi ed avrebbero ucciso Galeotto ed il capitano Sigismondo Zenzani.

Il piano pare perfetto, si lasciano incoraggiandosi a vicenda e dandosi appuntamento per la notte.

Alessandro da Bologna però ha dei dubbi, esce dal castello e va a far visita al cognato Rainaldo Cavallerino e gli racconta tutta la faccenda. Rainaldo lo consiglia di rivelare ogni cosa al Signore che l’avrebbe certamente perdonato. Alessandro torna al castello e fattosi ricevere da Galeotto spiffera tutto. Viene tosto informato il magistrato che senza perdere tempo raduna la polizia e arresta Amadino, Teburo e Marangone trascinandoli nelle segrete del castello.

Gli altri congiurati nel frattempo sono usciti fuori dalle mura. Si radunano fanti e cavalleggieri e si iniziano le ricerche. Poltadio Magnano ha fiutato l’aria (gergo criminale) e mangiato la foglia (sempre gergo criminale) ed è fuggito per tempo. Anche gli altri hanno intuito qualcosa e si sono rifugiati nella villa di Cavezzo dei Bernardi, un luogo dove gli sbirri non sarebbero certo andati a cercarli (notare il tono ironico). E infatti il giorno dopo la soldataglia dà l’assalto alla villa. Giovanni da Quistello ed il Perusino riescono a dileguarsi nella confusione dello scontro, mentre i fratelli Bernardi col cognato Pelizza si difendono a spada tratta. Il Pelizza è il primo a soccombere colpito a morte; anche Bernardo viene ferito alla testa e preso prigioniero assieme al fratello Giulio.

Giulio Teburo, Vincenzo Amadino e Francesco Marangone vengono impiccati il 23 gennaio.

Tre giorni dopo tocca agli altri; Giulio Bernardi viene ucciso e poi appeso per un piede, accanto a lui vengono appesi anche il fratello Bernardo, che viene creduto morto, ed il cognato Pelizza. Durante la notte freddissima di gennaio, i lamenti continui del ferito non fanno prender sonno alla guardia. Al mattino Galeotto viene avvisato che Bernardo è ancora vivo. Lo fa togliere dalla scomoda posizione e tenta in ogni modo, immaginiamo come, di farlo parlare, ma senza risultato. La pazienza non è una virtù del Signore della Mirandola e prima di sera lo fa ammazzare.

I congiurati che non sono riusciti a fuggire sono tutti morti, ma la cosa non finisce qui. I corpi dei fratelli Bernardi e del loro cognato Pelizza, considerati i promotori della fallita congiura, vengono squartati e i loro resti messi in bella mostra sulle mura e le teste esposte sulle torri della porta del castello a mò di monito. Ai corpi degli altri congiurati viene data pietosa sepoltura.

La storia insegna, dicono. Questo episodio storico insegna, a parer mio, che se vuoi rovesciare un governo devi prima assicurarti di essere in numero più che sufficiente, più si è meglio è. Poi accertarsi che tutti siano assolutamente convinti e che non ci siano ripensamenti dell’ultimo momento. Quindi studiare minuziosamente un piano che tenga conto degli eventuali imprevisti. Infine mettere tutto da parte ed andare a votare. Và mo là!

Vanni Chierici

Fonti:  Memorie storiche della città e dell’antico Ducato della Mirandola.

             Vol. II

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