Centro Latte “La Favorita”

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È nel 1940 che negli atti del Comune di Mirandola comincia a comparire il nome di Giuseppe Gambuzzi associato a quello delle “Latterie di Mirandola”, da lui fondate nella zona della “Favorita”.

In quell’anno erano attivi a Mirandola e frazioni 34 caseifici, 4 in più di un decennio prima[1], a conferma del sostanziale fallimento del tentativo di “terziarizzare” l’economia locale attuato nella prima metà del Novecento. Come osserva Franco Verri, lo sviluppo del territitorio sarà infatti ritardato dalla «matrice spiccatamente agraria della classe politica fascista locale»[2], che per molti anni continuerà a far affidamento sull’allevamento e sull’agricoltura, trascurando altri settori.

Un momento conviviale delle maestranze

Un momento conviviale delle maestranze (collezione della famiglia Gambuzzi)

Macchinari e automezzi del Centro Latte La Favorita (collezione famiglia Gambuzzi)

Macchinari e automezzi del Centro Latte La Favorita (collezione famiglia Gambuzzi)

I 34 caseifici attivi nel 1940 possedevano complessivamente 3.464 vacche. Ogni azienda produceva in media tra i 4 e i 15 quintali di latte al giorno e a completamento del tipico ciclo di lavorazione venivano anche allevati, complessivamente, 3.906 suini.

I caseifici erano diffusi su tutto il territorio comunale: 3 si trovavano a Vigona, 8 a Roncole, 3 a Carano, 4 a Cividale, 3 a Mortizzuolo, 5 a Quarantoli, 2 a Tramuschio, 3 a Gavello e 2 a Spino. A questi si aggiungeva il caseificio di via San Giovanni (l’attuale via Agnini[3]), chiamato appunto “Favorita”. Nel 1940 questa azienda agricola possedeva 100 vacche, che producevano una media di 10 quintali di latte al giorno, ed allevava 130 suini[4]. Già attivo da alcuni anni, il caseificio “Favorita” era giudicato nel 1931 «fra i migliori»[5] del Comune. Nel 1938 era ne diventato proprietario (oltre che casaro) un certo Bindo Paltrinieri, che aveva rilevato l’attività dell’Azienda Agricola Malavasi e Testa[6].

Giuseppe Gambuzzi apre dunque le “Latterie Mirandolesi” nella zona in cui era già attivo un avviato caseificio. Nel frattempo l’imprenditore rimane titolare, insieme ad un certo A. Boselli, di un burrificio a Bologna, che ha sede in via Santa Margherita 17, poco lontano da Piazza Maggiore.

In una realtà economica come quella mirandolese, essenzialmente incentrata sull’agricoltura, sull’allevamento e sulla trasformazione dei loro prodotti, il latte rappresenta in quegli anni una delle principali fonti di reddito e di lavoro. La produzione di questo prodotto aveva conosciuto un forte sviluppo negli anni Trenta. Era in particolare la lavorazione del formaggio grana ad aver avuto «un incremento costante e tale da giustificare le migliori promesse», come sottolineava il Prefetto di Modena. Era tuttavia necessario che la qualità fosse migliorata, «al punto di vincere la concorrenza dei mercati». Evidentemente la crescita delle quantità prodotte non era andata di pari passo con il miglioramento della qualità, se addirittura il Prefetto si sentì in dovere di emanare una sorta di decalogo per i produttori. Tra le norme alle quali gli agricoltori avrebbero dovuto attenersi c’erano quelle di «lavarsi bene le mani, con acqua e sapone da bucato, prima di mungere», di «non raccogliere le prime stille di latte, che sono sempre pericolose, per la lavorazione del formaggio» e di «tenere i bidoni immersi in acqua fredda» nei mesi estivi, per evitare i danni dell’eccessivo caldo[7].

Oltre ai problemi igienici, a Mirandola vi erano tuttavia altre due spinose questioni che riguardavano la produzione e distribuzione del latte. La prima era la difficoltà dei rivenditori di procurarsi il latte in quantitativo sufficiente al fabbisogno della popolazione, per la scarsa produzione locale, che per ragioni tecniche sarebbe ulteriormente diminuita[8]. L’altro problema era rappresentato dell’assenza di una centrale del latte e di un consorzio di produttori. Questa mancanza faceva sì che i proprietari attuassero una sorta di “cartello” sui prezzi, danneggiando i commercianti al minuto e, in definitiva, i consumatori. A spiegarlo bene, in una lettera indirizzata al Podestà di Mirandola nel marzo del 1940, sono proprio i rivenditori al dettaglio, che lamentano di essere «obbligati a trattare direttamente con i singoli produttori. Costoro intendono cedere il loro latte non con una percentuale di riduzione sul prezzo di vendita al minuto ma secondo il prezzo industriale che viene determinato come è noto, o a riferimento fissato dal Consiglio dell’Economia Corporativa, oppure al prezzo corrispondente alla media aritmetica di due o più caseifici sociali scelti alla fine dell’anno dagli stessi produttori fra quelli che hanno conseguito i maggiori prezzi nella vendita del burro e formaggio. Si aggiunga che a determinare il prezzo dei caseifici sociali concorre anche il profitto dell’allevamento dei suini ora in promettente ripresa».

I commercianti, in sostanza, lamentano di sapere a quale prezzo vendono il loro prodotto ma di ignorare «completamente il prezzo cui lo pagheranno che potrà essere perciò anche superiore a quello di vendita».

In calce alla lettera, un appunto del Podestà Ferruccio Pinotti conferma che le preoccupazioni erano considerate serie e giustificate: «Conferire con il seg. della Delegazione Commercianti e con il Dott. Cacciari per lo Studio della presente. Invitare, pure, gli esercenti Roncada e Artioli [Elsa]»[9].

La risposta del Segretario della Delegazione mirandolese dell’Unione fascista dei commercianti si sarebbe fatta attendere parecchi mesi. Nel febbraio del 1941, infatti, scartata l’idea di un consorzio tra produttori (per la contrarietà di questi ultimi, preoccupati dal costo delle attrezzature e dell’organizzazione), viene proposta l’idea di «invitare tutti i gestori dei caseifici attivi a contribuire in equa misura assicurando in tal modo il quantitativo necessario per il fabbisogno della popolazione»[10].

Ai 34 caseifici esistenti viene dunque imposta una quota da riservare all’approvvigionamento della popolazione del capoluogo, che per la “Favorita” è nella misura di 10 quintali di latte e di 2 forme di formaggio. A fronte dei quantitativi “garantiti” vengono anche indicate le quote da assegnare ai nove rivenditori. Oltre ad Angelo Roncada e ad Elsa Artioli, figurano i nomi di Lucia Vecchi, Cesira Carpigiani, Maria Silvestri, Arturo Castorri, Elisa Guerzoni, Ellade Paltrinieri e Clementina Barbieri.

Sull’efficacia di questo provvedimento restano dubbi. Poco tempo dopo il Comune decide infatti di procedere all’attivazione di un Centro di raccolta del latte, per «l’approvvigionamento di tale importante derrata nei limiti del possibile in tutti i mesi dell’anno controllandone e regolandone il funzionamento nell’interesse dei produttori, dei rivenditori e dei consumatori»[11]. Due sono i progetti presentati. Uno è quello di Angelo Roncada, che nel 1940 figurava come gerente responsabile delle “Latterie Mirandolesi” di Gambuzzi. Roncada aveva istituito un impianto in vicolo Bonatti 6, completo di dispositivi per la «filtrazione del latte», di «refrigerante», di cella frigorifera e di un autocarro per il ritiro giornaliero dai singoli produttori. L’altro progetto, che reca la data del 26 febbraio 1942, è dello stesso Giuseppe Gambuzzi, che alla “Favorita” intende costruire una cella frigorifera per conservare il latte in ogni periodo dell’anno ed installare un «refrigerante» per portare la temperatura del latte, al momento dell’arrivo, a bassa gradazione, affinché possa mantenersi per la durata di almeno otto giorni. Gambuzzi dichiara inoltre l’intenzione di adattare i locali del fabbricato e di mettere a disposizione un autofurgone per il ritiro del prodotto.

Il progetto di Gambuzzi viene preso in esame, ma il 22 settembre 1942 il commissario prefettizio Wainer Bonomi decide di accordarsi con Mario Castorri, subentrato a Roncada nella gestione del nuovo Centro raccolta latte di vicolo Bonatti. Compito del raccoglitore, «persona di fiducia e alle dipendenze del Municipio», è quello di ritirare tutto il latte assegnato all’alimentazione per il Centro Urbano di Mirandola e distribuirlo ai lattivendoli del Centro Urbano stesso i quali non dovranno avere altra fonte per il loro rifornimento[12]. Il latte, pagato ai produttori 135 lire al quintale, sarebbe stato fatturato ai rivenditori 167 lire.

L’arrivo di Gambuzzi a Mirandola coincide dunque con un periodo piuttosto turbolento per l’industria casearia mirandolese. Nel 1941 l’imprenditore chiede al Comune lo svincolo della cauzione commerciale, avendo già chiuso la sua latteria[13]; ma dietro a questa domanda c’è in realtà l’intenzione di dedicarsi ad un’impresa di più ampia portata. È la nascita di quella che diventerà una delle più importanti e moderne aziende casearie mirandolesi; un’impresa industriale che proseguirà l’attività fino all’inizio degli anni Settanta, quando sarà ceduta al “colosso” Granarolo.

Nel 1942 Gambuzzi acquista un tronco di 2.430 metri quadrati dell’ex strada di San Giovanni, che attraversa la sua proprietà. La strada era stata infatti soppressa alcuni anni prima per far posto alla costruenda ferrovia Rolo-Mirandola (che resterà la grande incompiuta tra le infrastrutture del territorio). La parte dei terreni non utilizzati dal progetto della strada ferrata era stata offerta quindi ai frontisti.

Nello stesso anno l’industriale presenta istanza per eseguire diversi lavori «nella casa posta sul fondo “Favorita” in via S. Giovanni n. 8-10», compreso un «fognolo» per scaricare le acque del podere[14]. Nel 1943 Gambuzzi chiede ed ottiene di rifare il tetto e il «muro di gronda» del fabbricato[15]. In dicembre dello stesso anno la ditta domanda l’esenzione della tassa di raccolta e trasporto dei rifiuti solidi urbani, perché l’abitazione è provvista di concimaia[16].

Il 27 marzo 1944 Gambuzzi chiede di costruire un fabbricato da adibire a cantina ed a ricovero attrezzi[17]. Il 6 aprile 1944 Gambuzzi domanda inoltre all’Ispettorato dell’Economia Corporativa di Bologna di trasferire tutto l’impianto a Mirandola. Tra gennaio e marzo la città felsinea era stata infatti oggetto di nuovi pesanti bombardamenti alleati, che avevano interessato anche via Santa Margherita. La richiesta passa quindi alla Sepral (Sezione Provinciale dell’Alimentazione) di Modena, che mostra perplessità nei confronti del trasferimento, temendo che esso possa danneggiare le due aziende per la lavorazione del burro già presenti: la Ditta Paltrinieri e la Mussini. La “patata bollente” passa dunque al Comune, retto all’epoca da un Commissario prefettizio, che per due volte dà parere positivo[18].

È il definitivo decollo per il burrificio mirandolese, che non tarda ad affermarsi come un punto di riferimento fondamentale per la popolazione del Centro urbano. «La mungitura – ricorda Carlo Alberto Gambuzzi, figlio di Giuseppe – avveniva verso le 17-17.30. Una parte del latte veniva raccolto nelle bacinelle per la lavorazione del mattino dopo, mentre il resto veniva riservato alla vendita, che cominciava intorno alle 18-19»[19].

Da segnalare che a seguito dell’occupazione tedesca le aziende mirandolesi vengono sottoposte a nuovi vincoli, a requisizioni forzate e al costante pericolo delle incursioni alleate, che avevano tra i propri obiettivi la “Casa Littoria”, realizzata a poca distanza dalla “Favorita”. Le forze di occupazione utilizzavano inoltre le aziende locali per il proprio sostentamento. Il 21 febbraio 1945, ad esempio, il Comando germanico locale consegna a Giuseppe Gambuzzi 20 lattonzoli (suini non ancora svezzati), affinché li allevi per il Comando stesso. Sempre nel 1945 Gambuzzi riceve un compenso di oltre 24.500 lire per la raccolta latte e un rimborso di 101 lire per la fornitura di paglia alle Forze Armate Tedesche[20], che di lì a poco, a causa dell’avanzata alleata, avrebbero cominciato la loro precipitosa fuga verso il Po.

Fabio Montella

Tratto da “Un secolo di imprese-100 anni di attività economica a Mirandola attraverso i documenti” Anno 2013

Autore: Fabio Montella

 

[1] Archivio Storico del Comune di Mirandola (ASC), Carteggio Amministrativo (CA), anno 1944, b. 1412, cat. 11, cl. 2, f. “Pratiche antecedenti all’anno 1935 riguardanti caseifici”, Elenco dei caseifici del Comune che hanno svolto l’attività industriale, durante l’anno 1930, minuta, s.d.

[2] Franco Verri, L’Amministrazione fascista a Mirandola, in Lorenzo Bertucelli e Stefano Magagnoli (a cura di), Regime fascista e società modenese, Modena, Mucchi, 1995, p. 229.

[3] Mauro Calzolari, Toponomastica storica del Comune di Mirandola, Mirandola, Gruppo Studi Bassa Modenese, 2008, p. 171.

[4] ASC Mirandola, CA, anno 1944, b. 1412, cat. 11, cl. 2, f. “Disposizioni Relative ai Caseifici e alla lavorazione del latte”, Elenchi caseifici e ruoli imposte di famiglia per l’anno 1940, 13 agosto 1941.

[5] ASC Mirandola, CA, anno 1944, b. 1412, cat. 11, cl. 2, f. “Pratiche antecedenti all’anno 1935 riguardanti caseifici”, Ispezioni caseifici del Comune, 18 marzo 1931.

[6] Questi i nomi degli altri conduttori (o dei presidenti, per i caseifici sociali), attivi nel 1940: Testa e Malavasi, presidente Giovanni Castagnetti e Luigi Golinelli a Vigona; Giovanni Castagnetti (due caseifici), Mario Pacchioni, Bruno Campagnoli, Ferdinando Tosatti, Giacomina Molinari, Adriano Baraldi ed Adelmo Malavasi a Roncole; presidente Giuseppe Bellini, Abele Castagnetti e Luigi Gambuzzi a Carano; Testa e Malavasi, Ivo Paltrinieri, Mentore Aldrovandi, presidente Pio Calanca a Cividale; Pellegrino Sforza, presidente Giuseppe Bellodi e Gustavo Golinelli a Mortizzuolo; Testa e Malavasi, Celio Passardi, Medardo Paltrinieri, presidente Orfeo Bellini ed Alessandro Castagnetti a Quarantoli; Ugo Rusca e presidente Francesco Tognetti a Tramuschio; presidente Amedeo Martini, presidente Onesto Grossi e presidente Luigi Greco a Gavello; presidente Nino Beppe Banzi e Vittorio Boselli a Spino.

[7] ASC Mirandola, CA, anno 1944, b. 1412, cat. 11, cl. 2, f. “Pratiche antecedenti all’anno 1935 riguardanti caseifici”, Norme igieniche per la produzione e la lavorazione del latte, 28 luglio 1931.

[8] ASC Mirandola, CA, anno 1944, b. 1412, cat. 11, cl. 2, f. “Disposizioni Relative ai Caseifici e alla lavorazione del latte”, Rifornimento latte alimentare, 7 gennaio 1940.

[9] ASC Mirandola, CA, anno 1944, b. 1412, cat. 11, cl. 2, f. “Disposizioni Relative ai Caseifici e alla lavorazione del latte”, lettera, 7 marzo 1940.

[10] ASC Mirandola, CA, anno 1944, b. 1412, cat. 11, cl. 2, f. “Disposizioni Relative ai Caseifici e alla lavorazione del latte”, Rifornimento latte alimentare, 21 febbraio 1941.­­

[11] ASC Mirandola, Deliberazioni del Podestà, anno 1942, Centro di raccolta e distribuzione del latte per uso alimentare,  22 settembre 1942.

[12] ASC Mirandola, CA, anno 1942, b. 1391, cat. 11, Centro Comunale di Raccolta latte, 8 settembre 1942.

[13] ASC Mirandola, Protocollo Generale 1941, vol. I, prot. 934.

[14] ASC Mirandola, Protocollo Generale 1942, vol. II, prot. 5174 e vol. III, prot. 6784.

[15] ASC Mirandola, Protocollo Generale 1943, vol. I, prot. 1635.

[16] ASC Mirandola, Protocollo Generale 1943, vol. III, prot. 10122.

[17] ASC Mirandola, Protocollo Generale 1944, vol. I, prot. 2130.

[18] ASC Mirandola, CA, anno 1944, b. 1412, cat. 11, cl. 2, f. 2, documenti vari.

[19] Intervista dell’Autore ad Alberto Gambuzzi, 6 agosto 2011.

[20] ASC Mirandola, Protocollo Generale 1945, vol. I, prot. 1466 e 2227.

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