Antichi palazzi – Il Castello di Mirandola

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Vista da levante.-L.Confortini

Vista da levante.-L.Confortini

Cartolina inizi 900 con la Galleria Nuova di Alessandro II Pico e la Montagnola sullo sfondo.

Cartolina inizi 900 con la Galleria Nuova di Alessandro II Pico e la Montagnola sullo sfondo.

Il «Castello» di Mirandola

(Le residenze dei Pico e la Cittadella)

Con un’origine urbanistica comune ad altre capitali padane, come Carpi, Cor­reggio e Novellara, poco dopo l’anno Mille l’insediamento di Mirandola era costituito dal Castello fortificato, sede della famiglia Pico, e da alcuni vicini borghi, pure fortificati, che si sarebbe­ro col tempo uniti al Castello stesso (Garuti1, 1983); questo nell’ambito dell’incastellamento», «vasto processo di riorganizzazione e militarizzazione del territorio» (Andreolli, 1989, p. 9) che interessò la zona per la sua collocazione strategica, prossima al Po e ad altre ar­terie fluviali.

 

Vista da sud a volo d'uccello in bianco e nero. L.Confortini

Vista da sud a volo d’uccello in bianco e nero. L.Confortini

Appartamenti di Alessandro I - L'odierno edificio perpendicolare alla piazza.

Appartamenti di Alessandro I – L’odierno edificio perpendicolare alla piazza.

In epoca medievale, il complesso edili­zio ebbe un prevalente carattere di cit­tadella militare, e si sviluppò su un im­pianto quadrilatero, a nord-ovest ri­spetto all’abitato.

Sulla metà del Quattrocento, in sinto­nia con il ruolo di città rinascimentale che Mirandola andava assumendo, Giovan Francesco I procedeva all’aggrega­zione di fabbricati contigui, e all’abbel­limento della sua residenza, con acme nello Studiolo dipinto da Cosmè Tura tra il 1465 e il ’67. Pure degna di un principe umanista, quale Giovan Fran­cesco II, fu la creazione, nelle acque del fossato, di un’isoletta ricca di essenze anche esotiche e di alberi da frutto, hor- tus conclusus, ovvero luogo appartato di colti passatempi. Ed è con Giovan Francesco II che Mirandola diviene roccaforte leggendaria in tutta Europa, per il poderoso Torrione costruito fra il 1499 e il 1500, pare su progetto di Gio­van Marco di Lorenzo da Lendinara — Luca Pacioli nella sua De divina propor­tene (1509) ne ricorda «in la Mirando­la… la degna fortezza» (Campori, p. 233) —. Al centro della Cittadella, cir­condato da fosse, il Torrione s’innalza­va per circa 48 metri; a pianta quadrata, con il lato di oltre 15 metri e le muraglie di quasi 4 di spessore, si articolava su sei piani. Al primo s’apriva un camerone provvisto di pozzo e di forno, per ga­rantire il sostentamento degli occupanti in caso d’assedio; al piano superiore, il camerone della Ponticella presentava l’unico accesso alla Torre, un ponte le­vatoio che calava su un edificio isolato; seguivano quindi i cameroni dell’Archi­vio, con le carte più importanti di Casa Pico, del Salnitro, della Corda e, infine, l’ultimo munito di cannoni. Prodotto estremo di un’ingegneristica ancora medievale, nonostante la fama d’ine­spugnabilità, il Torrione non potè im­pedire che Mirandola venisse più volte conquistata, nel 1512 da papa Giulio II e nel 1705 dall’esercito francese. Infi­ne, l’11 giugno del 1714 un fulmine lo colpiva facendo esplodere le polveri cu­stoditevi, con effetti devastanti sull’in­tero complesso e sulla stessa città. Scompariva così il simbolo più orgoglio­so del potere militare dei Pico.

Nel 1561 Ludovico II innalzò la torre detta delle Ore (distrutta nel 1888) che siglava l’angolo sud est del perimetro della Cittadella, concludendone il lun­go prospetto sulla piazza. Quindi, nel 1577, esigenze difensive suggerivano a Fulvia, la vedova di Ludovico, di elimi­nare l’isoletta di Giovan Francesco II e di erigere in suo luogo un baluardo a punta, protetto da un grande bastione. Il figlio di lei, Federico II, nel 1594, ampliava la piazza e nel contempo rego­larizzava il perimetro del «Castello» ab­battendone la porta d’ingresso e l’anti­ca chiesa di S. Alberto, per poi riedifi­carle in posizioni più arretrate.

Se durante il Medioevo il discorso edili­zio era stato condizionato dalle esigen­ze difensive, in epoca rinascimentale accanto agli interessi militari erano su­bentrate anche ambizioni di decoro. Ma è nel corso del Seicento che si attua la grande qualificazione delle dimore principesche.

Così Alessandro I, al governo dal 1602, nella sua politica di prestigio fa costrui­re, nel settore di nord-est, due nobili «quartieri», per sè e per la consorte Laura, l’uno individuabile nell’odierno edificio perpendicolare alla piazza, dal porticato a colonne in marmo rosa di Verona, l’altro, l’«Appartamento della Duchessa», riconoscibile nel blocco, as­sai manomesso, affacciato sulla piazza. E’ il momento delle imprese decorative e dei grandiosi cicli pittorici a ornamen­to delle sale; tra queste è famosa quella dei Carabini, che il Ceretti ricordava ancora nel 1876, accanto al teatro, con la volta retta da colonne di pregevole marmo, pervenute dall’eredità del car­dinale Girolamo da Correggio.

Non meno splendida fu la successiva età di Alessandro II, che nel 1668, per ospitare le trecento opere della raccolta Curtoni, avrebbe edificato la Galleria Nuova, sul fronte settentrionale del nu­cleo dei Palazzi. E ancora si può perce­pire, nonostante il degrado, l’impronta monumentale di questo corpo di fabbri­ca, che s’erge maestoso sulla base a scar­pa: due avancorpi, con imponenti ser­bane e profili a bugnato, serrano un va­sto prospetto su due ordini, l’inferiore scandito da quattro archi chiusi, il supe­riore con finestre alternate a lesene in bugnato. Benché si sia perduto l’origi­nario rapporto tra superfici e vuoti — alla potente massività del basamento doveva contrapporsi la traforata trama delle logge —, ancora vi si coglie un’i­dea di monumentalità imponente, ove il repertorio classicistico è interpretato, più che nella sensibilità barocca, in una radicata tradizione tardomanieristica. Se Alessandro I aveva richiesto progetti al centese Giovan Battista Cremonini, Alessandro II teneva al suo servizio l’architetto veronese Francesco Mar­chesini (viv. 1674) e il bergamasco Au­relio Terzi (1594-viv. 1660), ingegnere militare, Governatore della Piazza di Mirandola, che nel 1660 attendeva alla sistemazione del Baluardo di Strada Grande (Campori, pp. 305 e 454).

Sul finire del Seicento, all’epoca del suo massimo sviluppo, il «Castello» occupa­va il quadrilatero all’estremità nord­ovest della pianta di Mirandola, dalla quale era diviso da un fossato. Nel qua­drilatero, le residenze ducali sorgevano nel settore angolare nord-orientale, fra la piazza e l’odierno viale di circonvalla­zione; nell’area retrostante si estende­vano i giardini, sovrastati dalla mole del celebre Torrione; sul lato meridionale (parallelo all’attuale via Tabacchi) s’in­nalzavano tre torri, da ovest a est, della Spina, della Pennarola, delle Ore, quest’ultima sull’angolo verso la piazza (Andreolli, p. 12).

All’interno della cinta muraria ferveva­no le attività legate alla vita della corte e della guarnigione militare: «vi si trova­vano magazzini, granai, cantine, carceri, legnaie, forni, voliere, cucine; c’erano i giardini, l’orto, il pollaio, il pozzo, il mu­lino…» (Andreolli, p. 14). Una sorta di «città nella città», connesse tra loro da un rapporto di osmosi.

Nel «Castello» più che altrove si mani­festerà il preciso intento, da parte im­periale ed estense, di cancellare le testi­monianze dei fasti dei Pico.

I palazzi, deserti dal 1704 — anno della partenza dell’ultimo duca —, sarebbero stati devastati dallo scoppio del Torrio­ne nel 1714, e l’anno dopo spogliati del­l’arredo superstite dai Commissari im­periali, che lo trasferirono a Mantova. Ulteriori demolizioni si compirono tra il 1783 e 1’ 86 per ordine del Duca d’Este; altre ne sarebbero seguite alla fine del secolo scorso (nel 1888 si abbattè la Torre delle Ore). Infine, è storia ormai odierna quella delle arbitrarie ricostru­zioni «in stile» del 1930 e dell’attuale degrado.

Graziella Martinelli Braglia

Tratto da: Committenze dei Pico

A cura di Graziella Martinelli Braglia

Cassa di Risparmio di Mirandola

Anno 1991

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