1936/37 – I maialini

Commenti (2) Racconti

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Sono figlia di contadini e ne sono orgogliosa, perché non potete immaginare cosa vuol dire vivere in mezzo alla natura e agli animali, vederli crescere e imparare che sono intelligenti.

Invece i nostri bambini, al giorno d’oggi, crescono solo in mezzo al metallo e cemento, giocano con i computer e non conoscono neppure una gallina, ma non sono certo invidiabili. Oggi c’è abbondanza ma anche tanto dolore, la gioventù muore per avere tutto; i genitori danno troppo e non capiscono che ad accontentarli in tutto fanno il loro male.

Eccomi a raccontarvi la mia storia con i maialini. Noi abbiamo sempre avuto una scrofa, che due volte all’anno portavamo a Gavello Ferrarese da un signore che aveva un maschio da riproduzione.

Io e mia madre partivamo la mattina presto a piedi, con la scrofa legata ad una lunga catena, lei davanti e io dietro con un bastone per sollecitarla quando si fermava a mangiare qualche ciuffo d’erba. Arrivati, la mamma mi mandava a giocare con gli altri bambini fino all’ora del ritorno; mangiavamo qualcosa portato da casa perché sapevamo che saremmo tornate a sera tardi.

Dopo qualche mese arrivava il tempo delle nascite.

Il signor Bertelli, che faceva il mediatore, veniva a casa nostra a vedere se fossero nati i maialini. Portava un tabarro e un cappello a larghe falde e teneva un bastoncino sempre in mano (non che ne avesse bisogno per appoggiarsi, ma lo faceva per darsi un tono).

I giorni precedenti al parto mia madre si alzava anche di notte per controllare che tutto andasse bene, e una mattina presto chiamò mio fratello Amelio che dormiva ancora, perché era arrivato il momento.

Tutti e due si davano un gran da fare, così uno dopo l’altro nascevano i maialini. Uno li prendeva con stracci puliti che venivano preparati in precedenza per il grande evento, e l’altra, finito di pulirli, li metteva in una grande cesta.

Erano tutti belli rosa, alcuni con qualche macchia nera. A volte ne nascevano dieci o undici, non ricordo bene, sembrava non finissero mai! Prima di dargli la prima poppata, Niin Pozzetti con le tenaglie tagliava loro le punte dei denti, altrimenti avrebbero bucato le mammelle della madre. Fatta quell’operazione si rovesciava dolcemente la cesta e tutti i maialini correvano a scegliere il loro capezzolo. Purtroppo c’era anche il debole, che cacciato dai più forti restava il più piccolo, ed allora si ricorreva al biberon.

Quell’anno fu così perché erano troppi.

Non vi dico la meraviglia: tutti contemporaneamente succhiavano fermi con le code arricciate, era una cosa spettacolare che i nostri bimbi non potranno vedere mai.

Tornando al signor Bertelli, saputo della nascita, veniva spesso a casa nostra a controllare i maialini, e mia zia Demetria mi diceva: “Stai attenta, a quello lì piace tua madre!”. Io allora, quando lo vedevo arrivare a piedi, mi mettevo fra loro e non li lasciavo mai soli.

Poi i maialini incominciavano a crescere, e bisognava aiutarli perché il latte della madre non bastava. Con il latte delle mucche, della farina bianca e del cruschello si faceva un impasto dentro un secchio con l’aggiunta di acqua calda.

La mamma con le mani scioglieva bene il pastone perché non ci fossero grumi. Il secchio veniva rovesciato in recipienti di legno, bassi in modo che potessero tutti arrivare a mangiare. Non vi dico il rumore. Mia madre era sempre attenta a difendere i più deboli e all’ora del rancio, se così si può chiamare, era una vera battaglia, ma tutti crescevano. Arrivava il momento dell’addio ed era una tristezza, ma la fatica era ricompensata dai soldi che si guadagnavano, perché servivano alla sopravvivenza. Quanto tribolare per quella fettina di salame e di prosciutto!

Maria Traldi

Tratto da: Quaderni di San Martino

L’illustrazione è di Francesca Cavani

2 Responses to 1936/37 – I maialini

  1. Martina says:

    Che meravigliaaaaa di lettura, si trova un libro da far leggere ai miei nipoti?

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