Al Barnardon e la memoria della città

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Uno spettacolo emozionante che ha evitato la trappola del “passatismo”

La regista Ganzerli ha messo in scena la storia di Mirandola attraverso il lunario

Un lungo viaggio nella Mirandola tra fine Ottocento e prima metà del Novecento attraverso l’interpre­tazione degli avvenimenti che ne forniva, di anno in anno, il popolare lunario “Al Barnardon”, e attraverso lo sguardo di una regista, Giovanna Ganzerli, che ha saputo cogliere l’essenza di una storia plasmata nella fatica e nella miseria, più che nella grande Storia.

Quello andato in scena giovedì 8 maggio nel ritrovato giardino dell’ex Cassa di Risparmio di Mirandola è stato uno spettacolo emozionante, che ha tenuto il numeroso pubblico incollato alle sedie per oltre due ore.

“Nona i me car mirandules” ha condensato la storia di Mirandola dal 1880 al 1942 come nessuno avevatentato prima: facendo rivivere sul palco personaggi e avvenimenti, piccoli e grandi, con un ritmo in­calzante. Un brano dal vivo con la fisarmonica, una descrizione in dia­letto della preparazione del bucato, una canzone di protesta, immagini d’epoca, la cantata di un cantastorie: tutto ha contribuito a non far calare l’attenzione dello spettatore, guidato da un narratore-attore mai così bravo, Tancredi Veronesi, che ha fornito le chiavi di lettura per interpretare gli avvenimenti.

Il filo conduttore è stato la costruzione di una comu­nità, quella mirandolese, che come il resto della provincia era uscita in ginocchio e con profonde disparità dalla dominazione estense. La regista non ha ceduto al “passatismo”, che in questi casi è sempre dietro l’angolo. I “vecchi tempi”, che spesso sono visti come un’età aurea, qui sono stati presentati per come erano: anni duri, caratterizzati da aspre lotte che avevano l’obiettivo di ridurre la “forbice” sociale. Altroché «si stava meglio quando si stava peggio».

Il punto di partenza del racconto è l’anno di nascita del popolare lunario dialettale, il 1879, e il punto di arrivo è l’edizione de “Al Barnardon” del 1942, annerita in alcune parti dagli zelanti censori fascisti. In mezzo c’è il riscatto di una popolazione che ha gettato le basi di una società più giusta, non senza arretramenti. Si è parlato spesso dell’acquedotto, che ha messo decenni per essere realizza­to, mentre la popolazione continuava a morire di tifo, alla faccia della mo­dernità di Mirandola che negli anni Trenta, in pompa magna, inaugurava il Palazzo della Milizia. Si è parlato anche di emigrazione, di mirandolesi costretti a cercare fortuna in altre terre, di guerre e di fascismo, quan­do la maggioranza è stata costretta a chinare il capo e tacere. Toccante la scenetta dell’adulta che interroga i due bambini sulle leggi razziali; e coraggiosa la scelta di regia di rivolgersi al pubblico con il braccio teso nel saluto romano: a Mirandola, in una serata come questa, non lo si vedeva da oltre settant’anni…

Bravi gli attori della compagnia “Quelli delle Roncole 2” ma anche i tanti mirandolesi che hanno prestato corpo e voce allo spettacolo, sostenu­to dalla Fondazione Cassa Risparmio di Mirandola nell’ambito del Pro­Memoria Festival. Una produzione vera e propria: 30 persone in scena, dieci dietro le quinte, 25 persone che hanno partecipato e 14 che hanno dato il loro aiuto. E a proposito di me­moria, come non ricordare Leonardo Artioli, per tanti anni anima de “Al Barnardon”, che avrebbe certamente gradito la trasposizione che ne ha fatto Giovanna Ganzerli.

Uno spettacolo che ha riempito la pancia, oltre che gli occhi, degli spettatori: alla fine è stata servita la polenta , in una pagina di teatro-festa che rimarrà anch’essa incisa nella storia di questa città.

Fabio Montella

Le immagini sono di Michael Dotti

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